Reti

Lavorare per l’ottimizzazione delle infrastrutture a rete cittadine, che gestiscono le risorse idriche energetiche e materiali, significa lavorare per la sostenibilità ambientale di Roma. Secondo approcci olistici di lettura del sistema urbano la città può essere concepita come un ecosistema con un suo metabolismo dovuto allo scambio di materia, energia e informazioni nell’ambito delsuo territorio. A differenza degli ecosistemi naturali, gli ecosistemi urbani hanno la caratteristica di non essere completamente autonomi affidando il compito della produzione delle risorse energetiche e materiali a sistemi esterni e producendo rifiuti che l’area urbana non è in grado di assorbire. L’impronta ecologica della città di Roma, infatti, si definisce in funzione delle modalità di produzione energetica - che influisce direttamente sulla produzione di CO2 - delle modalità di adduzione e di smaltimento delle acque, della gestione efficace del ciclo dei rifiuti e in conformità anche agli stili di vita e alle attività dei cittadini. L’analisi delle attività ambientali e umane che definiscono il “metabolismo urbano” delle città permette, quindi, di intervenire su questi sistemi realizzando strategie per uno sviluppo urbano sostenibile. Le azioni politiche da porre in essere per potenziare la sostenibilità ambientale di Roma, ridurre la sua impronta ecologica e aumentarne i caratteri di resilienza, sono perciò strettamente connesse alla pianificazione e al funzionamento delle reti idriche, energetiche e relative ai rifiuti e devono essere tra loro strettamente interrelate affiancandole ad attività di educazione dei cittadini a comportamenti ambientali corretti e tesi a ridurre l’impatto delle loro attività.  Per quanto concerne le reti idriche, il territorio Lazio Centrale - Roma è gestito dalla società Acea Ato 2 Spa, il cui azionista di maggioranza (51%) è Roma Capitale, seguita dal Gruppo Caltagirone (circa 16%) e Suez Environnement (circa 13%). L’infrastruttura è in mano a una società municipalizzata: l’accordo, firmato del 2003, prevede una gestione trentennale del servizio idrico integrato (captazione, distribuzione di acqua a usi civili, fognatura e depurazione delle acque reflue). Da un’analisi dello stato attuale, la situazione è critica a causa delle importanti carenze e delle perdite idriche attestate tra il 32 e il 33%, come testimoniato anche dall’OCSE nel rapporto sulle performance ambientali del nostro Paese. L’Organizzazione, sulla base delle elaborazioni compiute dagli Enti di Ambito e contenute nei relativi documenti di programmazione, ha evidenziato la forte necessità di investimenti per i servizi idrici, che, sebbene fossero stati programmati in misura rilevante a partire dal 2008, non sono mai stati realizzati. Tra le motivazioni fornite da Acea, vi è l’incertezza sui meccanismi atti a disciplinarne il riconoscimento, a cui si aggiunge il fattore dirompente del debito accumulato dalla società (abbondantemente oltre i due miliardi di euro). A parte le questioni societarie, che comunque influiscono sulla qualità del servizio, è evidente che a essere carente a Roma più del servizio di adduzione dell’acqua, che pure ha i suoi problemi, è quello dello smaltimento degli effluenti idrici e delle acque meteoriche.  La rete fognaria Romana ha una storia antica, il primo reticolo per lo smaltimento delle acque risale ai tempi di Tarquinio Prisco, V Re di Roma, e la Cloaca Massima serve ancora le aree urbane del Quirinale, del Palatino e del Campidoglio.  Oggi però, nonostante un imponente piano di adeguamento del sistema fognario, sviluppato dal 1976 al 1999, che ha visto la realizzazione di 243 km di collettori e adduttrici, implementato di ulteriori 50 km negli ultimi anni, la situazione è insoddisfacente. Molte sono le zone periferiche ex abusive non servite da collettori e rete fognaria secondaria e ancora, in generale, nonostante gli investimenti dell’attuale Amministrazione per la pulizia superficiale delle caditoie ogni pioggia in città costituisce un’emergenza. Le allerte meteo, che periodicamente interessano la Capitale, recentemente hanno portato alla chiusura di siti archeologici, scuole e di alcune stazioni della metropolitana e alla predisposizione di idrovore e sacchi di sabbia a Roma Nord, all’Infernetto, Casal Palocco e Ostia.  I cambiamenti climatici che stiamo vivendo impongono, di fatto, non solo la necessaria implementazione e manutenzione della rete esistente, ma anche una pianificazione strategica, ispirata a principi di resilienza urbana, che consentano di migliorare le prestazioni di Roma in caso di fenomeni meteorici fuori dall’ordinario riducendo il loro impatto sulla funzionalità della città.  Roma Capitale sta lavorando su questo tema, con il supporto di un finanziamento della Rockefeller Foundation, che porterà nei prossimi due anni alla messa a punto di una strategia di Resilienza Urbana per la Capitale (vedi AR n. 110). Il Gruppo Acea è impegnato anche nella distribuzione di energia elettrica. Nel 2001, con la firma della concessione, Roma è diventata una delle prime aree metropolitane italiane nella quale i soggetti che avevano gestito separatamente il servizio di distribuzione di energia elettrica (Acea e Enel) hanno raggiunto un accordo per l’unificazione della rete al fine di una gestione più razionale e ottimizzata. Acea è diventata dunque l’unico concessionario, assumendo numerosi oneri, dalla conservazione della rete, fino al suo ampliamento (con l’obbligo di connessione di chi richiede nuove utenze) e alla sua evoluzione. In questo senso, si è dunque proceduto sia con l’installazione dei contatori digitali (ormai oltre il milione), sia con il progetto di sviluppo delle smart grid, avviato nel 2011, che prevede l’estensione progressiva fino al 2020 di sistemi di gestione efficiente e uso razionale dell’energia.  Il tema dell’energia in rapporto alla città deve però essere rafforzato da strategie pubbliche che operino per il coordinamento delle azioni per la mobilità sostenibile, l’applicazione diffusa - ma controllata - di fonti di produzione energetica da rinnovabili anche attraverso la loro integrazione negli edifici e la valorizzazione delle risorse naturali periferiche, applicazioni di micro e cogenerazione, azioni per l’efficientamento energetico del patrimonio edilizio.  Roma sta operando per la messa a punto di politiche di sostenibilità ambientale, lo testimonia il lavoro con il Patto dei Sindaci per la redazione del Piano d’azione per l’energia sostenibile (PAES) e il suo aggiornamento. Tuttavia per ottenere dei risultati significativi sarebbe necessario un coordinamento serrato e trasversale tra i vari Assessorati e in particolare tra Lavori Pubblici, Mobilità, Trasformazione Urbana, Ambiente e politiche agricole: solo attraverso una cabina di Regia unificata si può procedere all’efficace adozione e attuazione del Piano per contribuire alla parziale indipendenza energetica della città, garantire la sostenibilità ambientale del progresso e onorare il principio di responsabilità intergenerazionale.  Passando alla rete di gestione dei rifiuti, nella città capitolina se ne occupa, in condizioni di monopolio Ama Spa, società municipalizzata che segue tutti i passaggi: raccolta, trasporto, trattamento, riciclaggio e smaltimento. Tuttavia, nonostante il coinvolgimento di Roma Capitale (che dovrebbe avere il polso della situazione e sapere intervenire quando necessario), i rifiuti a Roma sono una problematica sempre più rilevante. Sicuramente, le estese dimensioni della città non aiutano nell’amministrazione e nell’assistenza puntuale, ma questa non può essere un’attenuante di fronte allo stato di incuria in cui versano molte zone, così come anche il centro storico. Piazza del Popolo, Piazza di Spagna e Piazza Augusto Imperatore, per esempio, sono sfigurate dall’immondizia alla pari delle vie e degli angoli di strada adiacenti.  Una condizione che si perpetua da diverso tempo, ma che da un anno a questa parte ha subito un’accelerazione in negativo. La città capitolina produce circa 3.500 tonnellate di immondizia ogni giorno. I rifiuti riutilizzabili, circa la metà del totale, vengono trasportati dietro pagamento in alcuni termovalorizzatori di Lazio, Italia settentrionale e Spagna. La restante frazione, invece, indifferenziata e non assimilabile a una fonte energetica rinnovabile, non gode di incentivi tariffari né può essere accorpata alla precedente; di conseguenza viene fatta confluire in altre strutture preposte, situate nel centro e nel nord Italia (Abruzzo, Emilia e Piemonte in primis) producendo ulteriori fenomeni di inquinamento dovuti alle emissioni di CO2 causate dai mezzi di trasporto. Il perché è presto detto: a fine 2013 è stata chiusa, dopo varie proroghe, Malagrotta. La più grande discarica d’Europa è stata al centro di un’inchiesta sul traffico dei rifiuti per aver incassato diversi milioni di euro accettando varie tonnellate di raccolta differenziata non pretrattata senza però smaltirla, ma anzi aggregandola ai propri rifiuti indifferenziati. Per molti anni le Amministrazioni laziali e capitoline si sono disinteressate della questione, trovandosi (a chiusura avvenuta) a dover avviare una gestione commissariale, oggi ancora in essere per l’assenza di siti idonei e soluzioni definitive che possano archiviare definitivamente questo capitolo emergenziale. Da qualche mese è affiorata l’ipotesi di costruire una nuova e imponente discarica a Velletri, in un’area di quasi venti ettari a 40 Km dalla capitale, dove accogliere circa 2 milioni di metri cubi di immondizia attraverso la realizzazione di un Tmb (trattamento meccanico biologico), che prevede un’area per il compostaggio, un impianto per la produzione di biogas e un’area di stoccaggio per due milioni di metri cubi di rifiuti. L’operazione desta comunque svariate perplessità, non solo perché verrebbe realizzata in una zona agricola di alto pregio dove vengono prodotti alimentari DOP e vini di qualità, ma soprattutto poiché si tratta di un progetto di iniziativa privata che non rientra nei piani regionali. In questo, come in tanti altri casi, la reazione dei comitati non si è fatta attendere. In generale, le comunità locali si mostrano fortemente in disaccordo con la costruzione di un impianto nel proprio territorio per i rischi legati alle infiltrazioni e all’inquinamento delle falde, per i miasmi da decomposizione organica e per l’inquinamento dell’aria dovuto al passaggio di mezzi pesanti.  In realtà l’arretratezza di Roma nelle modalità di smaltimento rifiuti, alla quale si affianca l’arretratezza dell’Italia, a eccezione di isole felici come l’Emilia Romagna, richiederebbe la realizzazione di termovalorizzatori locali in grado di recuperare dai rifiuti importanti quantitativi di energia termica ed elettrica. Ma la modalità di realizzazione delle grandi opere infrastrutturali in Italia, che spesso è caratterizzata da alti costi ed esiti quasi mai in linea con le tecnologie più innovative disponibili, non fa altro che aumentare la demonizzazione di queste opere e il fenomeno del NIMBY - Not In My BackYards - che vede i cittadini impegnati nell’impedire la realizzazione degli impianti vicino alle proprie abitazioni. In realtà numerosi sono i casi eccellenti di realizzazione di termovalorizzatori in ambito urbano a partire dalla Svizzera e dalla Spagna. A Barcellona, ad esempio, è stato realizzato un impianto, con una capacità di smaltimento di un migliaio di tonnellate al giorno, a poche centinaia di metri da uno dei quartieri residenziali più moderni e frequentati della città, in cui sorgono strutture ludiche, per la cultura, il tempo libero e il turismo congressuale. Inoltre nello stesso quartiere, sotto la piazza principale, si trova un depuratore delle acque reflue urbane che ha una capacità equivalente a due milioni di abitanti. Nonostante gli impianti siano attivi 24 ore su 24, la presenza del termovalorizzatore e del depuratore non interferisca minimamente con la vita della città, grazie non solo alle tecnologie adottate ma anche di una cultura consapevole e aperta alle innovazioni. Anche nel caso della gestione del ciclo dei rifiuti il problema dovrebbe essere affrontato secondo un’ottica generale di sostenibilità ambientale, strettamente legata all’efficienza energetica, strutturando un sistema di raccolta che aumenti, e non riduca, la quantità di materiale differenziabile, incentivando il riuso e la riparazione degli oggetti, valorizzando dal punto di vista energetico la parte organica dei rifiuti per la produzione del biogas.  Una strategia illuminata di gestione dei rifiuti potrebbe anche portare a risparmi economici per i cittadini attraverso la correlazione delle tasse sui rifiuti, bollette elettriche e costi di smaltimento.   L’obiettivo dovrebbe essere quello di trasformare il rifiuto in risorsa riducendo il fenomeno delle discariche abusive, a novembre ne è stata scoperta una di 46 ettari a Rocca Cencia, a favore della produzione energetica e di compost dai rifiuti e il riciclaggio di grandi quantità di materiali provenienti da una capillare raccolta differenziata.

Ermete Realacci: Efficienza energetica e gestione oculata del patrimonio

Ermete Realacci Presidente VIII Commissione Ambiente, Territorio e Lavori Pubblici della Camera, Presidente onorario di Legambiente

Per spiegare il valore delle città italiane, Roma in testa, Ermete Realacci, Presidente VIII Commissione Ambiente, Territorio e Lavori Pubblici della Camera, presidente onorario di Legambiente, cita un passo dell’economista americano Kenneth Galbraith sull’Italia nel secondo dopoguerra: “La ragione vera della straordinaria ripresa italiana degli anni ’50 e ‘60 sta nell’aver incorporato nei prodotti una componente essenziale di cultura e che città come Milano, Parma, Firenze, Siena, Venezia, Roma, Napoli e Palermo, pur avendo infrastrutture molto carenti, possono vantare nel loro standard di vita una maggiore quantità di bellezza. Molto più che l’indice economico del Pil, nel futuro il livello estetico diventerà sempre più decisivo per indicare il progresso della società’”. Una frase che oggi è vera come e più di ieri per Realacci. “Nella difesa del nostro patrimonio artistico e paesaggistico c’è la chiave delle ripresa”. 

Qual è la sua idea di città?
Glielo dico con una parola contemporanea come ‘smart’, ma glielo spiego con una frase antica sei secoli, un passo della costituzione senese del 1309, scritta in lingua volgare: “chi governa deve avere a cuore massimamente la bellezza della città, per cagione di diletto e allegrezza ai forestieri, per onore, prosperità e accrescimento della città e dei cittadini”. Una città ideale è una città bella, che non è solo un dato estetico. È un luogo dove l’innovazione incontra il patrimonio artistico e culturale. Che cosa altro è il made in Italy se non questo? Se non sappiamo cogliere questa opportunità, non ripartiremo mai. Nel mondo c’è una grande voglia di Italia, della nostra bellezza, dei nostri prodotti. L’export continua a funzionare”. 

Se invece dovesse dare una definizione di bene comune?
Innanzitutto penso che i cittadini siano in grado di riconoscere il proprio bene. E dunque il primo obiettivo da perseguire è quello di una condivisione con le comunità e i territori interessati delle scelte che li riguardano, anche per evitare che prevalgano interessi corporativi e parziali e si smarrisca così la difesa del bene comune. Per questo ho depositato una proposta di legge, già presentata nella scorsa Legislatura dal Senatore Roberto Della Seta, per introdurre nel nostro Paese lo strumento del débat public, da anni utilizzato con successo in Francia.  

Con quali finalità?
Si tratta di uno strumento che attraverso procedure di consultazione delle popolazioni locali e dei portatori di interessi diffusi, vigilate da un soggetto pubblico indipendente e da svolgersi in tempi certi, porta a soluzioni condivise nel processo decisionale per la realizzazione delle grandi opere con rilevante impatto ambientale, sociale o economico. 
Dove il punto qualificante sta proprio nel carattere indipendente e “terzo” dei componenti l’Osservatorio rispetto agli interessi privati coinvolti.

Un’altra delle sue battaglie è relativa al riuso del suolo e della rigenerazione urbana. A che punto siamo?
La crisi ha cambiato l’edilizia, oggi si è capito che bisogna puntare sulla qualificazione dell’esistente, non si può più semplicemente demolire e ricostruire. Noi abbiamo proposto una legge per il contenimento dell’uso di suolo e la rigenerazione urbana. Fondamentale è stato anche l’eco bonus per far ripartire l’edilizia in maniera veramente sana, liberandola da cemento e malavita. Penso a un’edilizia basata su riuso e riqualificazione dell’esteso patrimonio edilizio esistente, basata sui criteri della bioarchitettura, delle tecnologie di efficienza energetica e di una nuova accezione dell’edificio come nodo attivo di produzione e consumo di energia, in una rete energetica in piena evoluzione smart. L’ecobonus ha prodotto 28 miliardi di investimenti, qualificando il sistema imprenditoriale del settore, riducendo i consumi energetici, l’inquinamento e le bollette delle famiglie e garantendo 340.000 posti di lavoro considerando anche l’indotto.  

L’ecobonus è stato confermato anche per i prossimi anni. 
Visti i numeri degli sgravi fiscali per interventi di ristrutturazione ecologica degli edifici, è una vittoria: fa emergere il nero, crea lavoro, porta incassi fiscali aggiuntivi, produce benefici ambientali, fa risparmiare le famiglie, stimola lo sviluppo di un mercato importante per le imprese italiane del settore. Il credito di imposta per le ristrutturazioni e il risparmio energetico in edilizia è stata infatti la misura di gran lunga più efficace messa in campo per contrastare la crisi in un settore importante come l’edilizia. 

Quali sono le ricadute per i cittadini?
Secondo l’indagine ‘Ridurre le bollette. Efficientare il patrimonio abitativo’ promossa da Comune di Firenze, CasaSpa e Legambiente grazie al risparmio energetico le famiglie possono tagliare fino all’80% delle loro bollette. Inoltre l’efficienza energetica può portare importanti risparmi anche per le casse dello stato: secondo il Consip la spesa energetica per uffici, scuole e ospedali è maggiore di 5 miliardi di euro annui. Investendo in efficienza energetica si può ridurre di un terzo questa cifra. 

 A Roma uno dei problemi più sentiti è quello della mobilità e del traffico. Soluzioni possibili?
Qualcosa sta cambiando, nella testa delle persone. Lo dimostra il successo crescente del car sharing. È una scommessa vincente: in Italia sono ormai 200mila persone che hanno scelto di usare un’auto condivisa, un dato insperabile fino a qualche anno fa. A Roma va incentivato di più, ma la strada è quella giusta.