Frederik Geertman: L’occhio delle banche su Roma
Frederik Geertman Regional Manager Unicredit Centro Italia
C’è chi dice che il mercato immobiliare e le opere architettoniche sono ferme per colpa della banche. Ma Frederik Geertman, responsabile per il Centro Italia di Unicredit, risponde così alle critiche: “È vero, rispetto al passato c’è maggiore attenzione alle garanzie. Noi sosteniamo famiglie e le imprese, se ci sono le condizioni per farlo. Spesso però ci imbattiamo in aspettative che appartengono a un’epoca che non tornerà”.
Qual è la sua idea di città?
Oggi le città competono tra di loro, principalmente per attrarre investimenti e talenti, anche attraverso la qualità della vita che offrono. Non possono quindi permettersi il lusso di essere centri statici di urbanizzazione. La città deve sapersi trasformare costantemente, e questo richiede saper valorizzare la diversità, favorire l’integrazione, far convivere contrasti interessanti.
Qual è invece la sua idea di bene comune?
Farei chiaramente un distinguo tra proprietà comune e bene comune. Il bene comune presuppone la presenza di regole comunemente accettate e seguite. Non esisterebbero sviluppo ed evoluzione sociale senza alla base una normativa condivisa, e naturalmente le istituzioni hanno un ruolo fondamentale in questa creazione di consenso.
L’idea di bene comune sottintende inoltre un’amministrazione efficace della proprietà pubblica, altrimenti questa genera l’effetto contrario: da risorsa si trasforma in elemento controproducente per la comunità. Per una città come Roma, l’espressione “less is more” di Mies Van der Rohe mi pare efficace: un modo per garantire il bene comune sarebbe la riduzione della proprietà comune, sostenuta dalla presenza di regole certe e tutele ragionevoli.
Uno degli ostacoli principali è talvolta la burocrazia. Quali sono i principali ostacoli burocratici da abbattere?
Roma è una città dal patrimonio culturale incommensurabile, non solo a livello qualitativo ma anche quantitativo; di conseguenza, la presenza di vincoli e procedure è indispensabile per la sua gestione e salvaguardia. Faccio poi notare che le norme sono le stesse che troviamo in altre città italiane, dove però a volte sembra più facile portare a termine progetti di trasformazione, anche grandi, di varia natura - non solo urbanistica. Forse a Roma si può riscontrare una maggiore incidenza di tattiche di rallentamento o di ostruzione “di parte”, verso le quali c’è una certa rassegnazione. O se vogliamo esprimerci positivamente: la città beneficerebbe di un maggiore impegno nel favorire, o addirittura instillare, una cultura di creazione del consenso. Non mi pare peraltro un compito impossibile, magari in base a qualche caso di successo vissuto come tale da tutti.
Parla di “tattiche di rallentamento o di ostruzione”, ma da parte di chi? Chi comanda veramente in città?
Più che parlare di “chi comanda”, trovo più pertinente il “cosa comanda”, ossia una situazione generale in cui incertezza e lunghi tempi di attesa non sono un’eccezione. Uno status che non viene incontro alle esigenze dei pianificatori e degli investitori, andando inevitabilmente a rallentare l’intera filiera architettonica e costruttiva. A Roma è difficile per chiunque riuscire a concretizzare un progetto di una certa entità come quelli immobiliari.
Come vede lo skyline romano tra dieci anni?
Se dovessi immaginarmi lo skyline di Roma, osservandolo dal Quirinale al tramonto, lo vedrei identico a oggi. Il vero cambiamento, però, dovrebbe avvenire su quanto vi è al di sotto dello skyline. In particolare, Roma è già una città con più centri. Ma se non si sbagliano le opere di riqualificazione, alcuni luoghi intorno al centro storico possono diventare importanti poli di attrazione polifunzionali. Lo stesso skyline ma sotto una città con più diversità, più attività, più integrazione.
A quali costi?
Progettare il futuro paventando danni, o associando lo sviluppo della cultura al concetto di “costo” mi pare sbagliato, controproducente. I ragionamenti possono essere impostati con maggiore utilità pensando ai possibili ricavi, allo sviluppo di attività, anche economica ma non solo. Il debito pubblico è un ostacolo sormontabile quando si hanno competenza e abilità. Si può comunque pianificare con fermezza e criterio, mantenendo fede agli impegni e riducendo le incertezze normative. Basta questo per far sostenere i costi ad altri attori, che vedono le opportunità.
Qual è la sua idea di pianificazione paesaggistica?
Una pianificazione competente, ma al tempo stesso coraggiosa. È necessario pensare ogni intervento rispetto al contesto in cui verrà inserito, ma a Roma viste le sue dimensioni dobbiamo parlare di progetti su larga scala, altrimenti non superiamo la soglia della rilevanza minima. Un po’ si deve quindi osare, per creare qualcosa di nuovo che non si esaurisca nel breve. Sono questi grandi interventi, non necessariamente nel centro storico, che possono nel tempo garantire una coerenza tra il tessuto urbano e sociale. Oggi parliamo della pedonalizzazione dei Fori Imperiali, ma pensiamo anche che questi una volta sono stati pensati, realizzati e trasformati. Non solo in antichità, anche nel secolo scorso.
Roma ha una forte identità culturale che va tutelata
La tutela non può essere un alibi per non fare nulla. In questo contesto, limitarsi a un atteggiamento passivo risulterebbe nocivo per la città stessa. Le organizzazioni preposte alla salvaguardia dell’identità culturale devono promuovere e incanalare lo sviluppo, favorendo il dialogo sinergico e intrasettoriale. Credo molto nella cosiddetta “cross-fertilization”, tra vari settori: il patrimonio storico e museale, l’audiovisivo, l’industria creativa, anche certe industrie manifatturiere nel Lazio. Il film “La Grande Bellezza” può essere un buon esempio, poiché oltre a svolgere la sua funzione principale (ossia intrattenimento con un prodotto cinematografico di altissimo livello), mette al contempo in mostra il grande patrimonio storico della città, e dà un impulso alla natura e alla qualità dell’offerta turistica capitolina. Sarebbe stato possibile produrre questo film senza la nostra competenza nella gestione dei beni culturali? Senza la sartoria che ha vestito il protagonista?
Che cosa chiede all’amministrazione di Roma?
Le grandi questioni urbanistiche coinvolgono molte persone e le decisioni saranno determinanti per molti anni, quindi i percorsi decisionali devono ovviamente seguire gli iter che le norme prevedono. Al tempo stesso, è necessario dare un’accelerata al riuso e alla riqualificazione degli immobili inutilizzati di proprietà pubblica, inclusi quelli delle società a partecipazione pubblica. Mantenere lo stato attuale è un’operazione in netta perdita, poiché significa generare passività senza nemmeno offrire un servizio utile alla collettività. Un corretto riutilizzo apporterebbe invece un benefit per i cittadini, generando al tempo stesso un indotto per il territorio. È importante che gli iter di valorizzazione avviati arrivino veramente in fondo, in tempi ragionevoli.
Le aree dismesse sono davvero un’opportunità? O un problema che nessuno vuole prendere a mano?
Se penso alla vecchia fiera sulla Cristoforo Colombo, ai mercati generali sull’Ostiense o al Centro Carni, vedo enormi opportunità, ma anche obblighi morali e necessità. Soprattutto a fronte del quadro finanziario pubblico e della stagnazione economica. È vero che per troppo tempo si sono registrati modesti progressi, ma sembra esserci una accelerazione. Sicuramente oggi, anche per via della crisi, il costo del tempo che passa è più chiaro a tutti. L’attuale giunta, per esempio, ha preso in mano alcune tematiche, cercando anche di trovare un corretto equilibrio tra gli interessi degli stakeholder.
Le banche sono spesso chiamate in causa per la difficoltà di accesso ai mutui da parte delle famiglie che potrebbero rappresentare una spinta alla ripresa…
Non ritengo che il mercato dei mutui ai privati sia oggi un vincolo o un limite per le transazioni immobiliari. L’offerta è piuttosto vivace, con tassi storicamente bassi, l’erogato cresce fortemente, in particolare in UniCredit che è la prima banca della città. Noto inoltre che in alcuni sviluppi immobiliari gli appartamenti vengono venduti senza problemi, ma che in altri la domanda latita o è assente. Mi permetterei di suggerire al settore una riflessione più profonda sulla tipologia di immobile che si costruisce e che si propone alla vendita, perché dove c’è domanda non credo l’accesso ai finanziamenti per i privati sia un problema, né lo sarà in futuro.
E per quel che riguarda i finanziamenti allo sviluppo di real estate?
Le banche ci sono, sono attive e si interessano di sviluppo e riqualificazione urbana. La crisi ci ha tuttavia insegnato che il capitale proprio è imprescindibile in tutti i settori industriali. Del resto, lo è anche per la banca stessa (basti vedere quanto le banche si sono dovute ricapitalizzare negli ultimi anni). Anche nel real estate, a volte mi pare ancora di incontrare aspettative che appartengono a tempi che a mio avviso non torneranno. Fare sviluppo immobiliare con una fondata prospettiva sul mercato di vendita e con un adeguato investimento di capitale proprio è “the new normal”, non è un transitorio sintomo della crisi.