Economia

Al fine di prefigurare quella che sarà la città di domani, è necessario riflettere, oggi, sulla sua storica complessità, che va salvaguardata quale elemento caratterizzante la vita urbana e fonte di ricchezza (culturale, sociale e, naturalmente, economica) ma che, al tempo stesso, è necessario gestire con proprietà e decisione nelle sue singole componenti ed interazioni. Le criticità del “sistema città” romano sono molteplici e spesso evidenti, e investono diverse problematiche a differenti livelli, inevitabilmente intersecate tra loro. Capitale e metropoli, crocevia del potere politico e religioso, città multietnica e prima meta turistica sul territorio nazionale, Roma si trova a dover fare convivere numerose anime, che rappresentano grandi potenzialità e al tempo stesso sono fonte di forti conflitti. L’Amministrazione sembra muoversi in un’ottica di collaborazione europea: all’inizio dello scorso ottobre Roma è stata sede dell’incontro dei Sindaci di 15 capitali UE, riunitisi per portare avanti il progetto dell’Agenda Urbana Europea, strumento di condivisione delle politiche promosso e auspicato dalla DG Politiche regionali e urbane della Commissione europea.  Nelle stesse giornate ha avuto luogo, sempre a Roma, la prima riunione operativa del network “Grandi Destinazioni Italiane per un Turismo Sostenibile” (GDITS), di cui fanno parte Roma, Milano, Venezia, Firenze, Napoli e la Provincia di Rimini, e che si propone di intrecciare la propria attività con quelle del progetto European Tourism Indicator System (ETIS), sostenuto dalla UE e ideato per misurare i livelli di sostenibilità ambientale, economica e sociale delle principali destinazioni turistiche europee. Infatti è quella del turismo una delle maggiori risorse della Capitale, un potenziale sfruttato solo in parte nel quale l’Amministrazione si propone di investire, ma che richiede una serie di azioni complesse e coordinate fra loro, che vadano a coinvolgere la mobilità, l’accessibilità dei luoghi di interesse artistico e culturale, la valorizzazione e messa in rete del patrimonio archeologico, storico e artistico, la sicurezza dei turisti e dei cittadini stessi, l’offerta di servizi qualificati a livello di informazione e divulgazione, ma anche di ristorazione e alloggio, e infine la gestione e il controllo delle tariffe, la lotta all’abusivismo commerciale e dei servizi. Sarebbe necessario un coordinamento tra il Comune di Roma Capitale e la Città del Vaticano, principale motore del turismo a Roma, un turismo spesso mordi e fuggi, strutturato su itinerari rigidi e preconfezionati, che ignora le ricchezze della provincia. Così è anche necessaria un’operazione di recupero dell’immagine della città, a vantaggio non solo dei turisti, ma di chi nella città vive, con il diritto di godere di una “bellezza” troppo spesso nascosta e deturpata. I numerosi comitati cittadini di denuncia e lotta al degrado sono lo specchio di una consapevolezza e del crescere di una coscienza civile, che si auspica sempre più diffusa, ma, insieme, partecipano anche l’immagine di un senso di isolamento, di una percezione di “solitudine” da parte dei cittadini. Rifiuti abbandonati, invasione di cartelli e adesivi pubblicitari, scritte sui muri, parcheggi selvaggi, vandalismo, stato di abbandono dei parchi e degli spazi pubblici, sono alcuni importanti aspetti di un degrado urbano che investe tutta la città, contro il quale si muovono associazioni, blog e movimenti di opinione quali, per citarne alcuni, Retake Roma, Roma fa schifo, PRO PUP ROMA, Cartellopoli, Basta Cartelloni-Francesco Fiori, Retake Tevere. Un movimento dal basso che promuove azioni autonome e che riflette un reale desiderio di partecipazione e che attende risposte dall’Amministrazione. Il Municipio I è partito nel corso del 2014 con l’iniziativa “Roma sei mia” - che dovrebbe essere estesa agli altri Municipi - che prevede la realizzazione da parte dei privati di progetti di riqualificazione e manutenzione di spazi urbani ed edifici pubblici, con l’obiettivo di creare una sinergia tra pubblico e privato, conseguendo un risparmio di spesa e favorendo la partecipazione attraverso una sorta di “mecenatismo diffuso”, che non chiede nulla in cambio, indirizzato e, in parte, gestito dall’Amministrazione. Una via per aggredire la complessità partendo dalla piccola scala e dal concetto di bene e interesse pubblico. Perchè forse è proprio nella collisione tra interessi dei singoli e interesse comune che sta uno dei principali nodi da sciogliere.Tutto ciò è una condizione prioritaria perché riporta un interesse “sano” di sviluppo del nostro settore - nuovi interventi e/o recupero di ampie aree anche centrali desolate e sottoutilizzate mediante progetti mirati ed efficaci, da esaurirsi in tempi brevi, cosicché quella larga quota del “PIL” della città, legato al mondo dell’edilizia, ritorni a delle percentuali importanti, vicine a quelle che hanno caratterizzato gli ultimi decenni.I temi sono estremamente significativi: sviluppo delle infrastrutture portuali e aeroportuali, mobilità efficace attraverso l’avanzamento dei programmi delle linee metropolitane e il loro raccordo con l’ancora incompiuto - dopo decenni - anello F.S., incremento dei nodi di scambio soprattutto ai fini di evitare l’eccesso di bus turistici, che oggi inquina non solo l’aria ma soprattutto l’immagine del centro della città, l’avanzamento di un’edilizia privata “di livello”, supportata anche da concorsi aperti a tutti o, in casi particolari, riservati ai pochi studi specializzati nel settore specifico del singolo intervento, e infine un programma di edilizia sociale credibile, “civile” , privo di quell’enfasi che per molti decenni ha sostenuto una opinabile priorità, in questo settore, del pubblico sul privato, il tutto naturalmente all’interno di un quadro pianificatorio acclarato e legittimo.

Frederik Geertman: L’occhio delle banche su Roma

Frederik Geertman Regional Manager Unicredit Centro Italia

C’è chi dice che il mercato immobiliare e le opere architettoniche sono ferme per colpa della banche. Ma Frederik Geertman, responsabile per il Centro Italia di Unicredit, risponde così alle critiche: “È vero, rispetto al passato c’è maggiore attenzione alle garanzie. Noi sosteniamo famiglie e le imprese, se ci sono le condizioni per farlo. Spesso però ci imbattiamo in aspettative che appartengono a un’epoca che non tornerà”.

Qual è la sua idea di città?
Oggi le città competono tra di loro, principalmente per attrarre investimenti e talenti, anche attraverso la qualità della vita che offrono. Non possono quindi permettersi il lusso di essere centri statici di urbanizzazione. La città deve sapersi trasformare costantemente, e questo richiede saper valorizzare la diversità, favorire l’integrazione, far convivere contrasti interessanti.

Qual è invece la sua idea di bene comune?

Farei chiaramente un distinguo tra proprietà comune e bene comune. Il bene comune presuppone la presenza di regole comunemente accettate e seguite. Non esisterebbero sviluppo ed evoluzione sociale senza alla base una normativa condivisa, e naturalmente le istituzioni hanno un ruolo fondamentale in questa creazione di consenso. 

L’idea di bene comune sottintende inoltre un’amministrazione efficace della proprietà pubblica, altrimenti questa genera l’effetto contrario: da risorsa si trasforma in elemento controproducente per la comunità. Per una città come Roma, l’espressione “less is more” di Mies Van der Rohe mi pare efficace: un modo per garantire il bene comune sarebbe la riduzione della proprietà comune, sostenuta dalla presenza di regole certe e tutele ragionevoli.

Uno degli ostacoli principali è talvolta la burocrazia. Quali sono i principali ostacoli burocratici da abbattere?

Roma è una città dal patrimonio culturale incommensurabile, non solo a livello qualitativo ma anche quantitativo; di conseguenza, la presenza di vincoli e procedure è indispensabile per la sua gestione e salvaguardia. Faccio poi notare che le norme sono le stesse che troviamo in altre città italiane, dove però a volte sembra più facile portare a termine progetti di trasformazione, anche grandi, di varia natura - non solo urbanistica. Forse a Roma si può riscontrare una maggiore incidenza di tattiche di rallentamento o di ostruzione “di parte”, verso le quali c’è una certa rassegnazione. O se vogliamo esprimerci positivamente: la città beneficerebbe di un maggiore impegno nel favorire, o addirittura instillare, una cultura di creazione del consenso. Non mi pare peraltro un compito impossibile, magari in base a qualche caso di successo vissuto come tale da tutti.

Parla di “tattiche di rallentamento o di ostruzione”, ma da parte di chi? Chi comanda veramente in città?

Più che parlare di “chi comanda”, trovo più pertinente il “cosa comanda”, ossia una situazione generale in cui incertezza e lunghi tempi di attesa non sono un’eccezione. Uno status che non viene incontro alle esigenze dei pianificatori e degli investitori, andando inevitabilmente a rallentare l’intera filiera architettonica e costruttiva. A Roma è difficile per chiunque riuscire a concretizzare un progetto di una certa entità come quelli immobiliari.

Come vede lo skyline romano tra dieci anni?

Se dovessi immaginarmi lo skyline di Roma, osservandolo dal Quirinale al tramonto, lo vedrei identico a oggi. Il vero cambiamento, però, dovrebbe avvenire su quanto vi è al di sotto dello skyline. In particolare, Roma è già una città con più centri. Ma se non si sbagliano le opere di riqualificazione, alcuni luoghi intorno al centro storico possono diventare importanti poli di attrazione polifunzionali. Lo stesso skyline ma sotto una città con più diversità, più attività, più integrazione.

A quali costi?

Progettare il futuro paventando danni, o associando lo sviluppo della cultura al concetto di “costo” mi pare sbagliato, controproducente. I ragionamenti possono essere impostati con maggiore utilità pensando ai possibili ricavi, allo sviluppo di attività, anche economica ma non solo. Il debito pubblico è un ostacolo sormontabile quando si hanno competenza e abilità. Si può comunque pianificare con fermezza e criterio, mantenendo fede agli impegni e riducendo le incertezze normative. Basta questo per far sostenere i costi ad altri attori, che vedono le opportunità.

Qual è la sua idea di pianificazione paesaggistica?

Una pianificazione competente, ma al tempo stesso coraggiosa. È necessario pensare ogni intervento rispetto al contesto in cui verrà inserito, ma a Roma viste le sue dimensioni dobbiamo parlare di progetti su larga scala, altrimenti non superiamo la soglia della rilevanza minima. Un po’ si deve quindi osare, per creare qualcosa di nuovo che non si esaurisca nel breve. Sono questi grandi interventi, non necessariamente nel centro storico, che possono nel tempo garantire una coerenza tra il tessuto urbano e sociale. Oggi parliamo della pedonalizzazione dei Fori Imperiali, ma pensiamo anche che questi una volta sono stati pensati, realizzati e trasformati. Non solo in antichità, anche nel secolo scorso. 

Roma ha una forte identità culturale che va tutelata

La tutela non può essere un alibi per non fare nulla. In questo contesto, limitarsi a un atteggiamento passivo risulterebbe nocivo per la città stessa. Le organizzazioni preposte alla salvaguardia dell’identità culturale devono promuovere e incanalare lo sviluppo, favorendo il dialogo sinergico e intrasettoriale. Credo molto nella cosiddetta “cross-fertilization”, tra vari settori: il patrimonio storico e museale, l’audiovisivo, l’industria creativa, anche certe industrie manifatturiere nel Lazio. Il film “La Grande Bellezza” può essere un buon esempio, poiché oltre a svolgere la sua funzione principale (ossia intrattenimento con un prodotto cinematografico di altissimo livello), mette al contempo in mostra il grande patrimonio storico della città, e dà un impulso alla natura e alla qualità dell’offerta turistica capitolina. Sarebbe stato possibile produrre questo film senza la nostra competenza nella gestione dei beni culturali? Senza la sartoria che ha vestito il protagonista?

Che cosa chiede all’amministrazione di Roma?

Le grandi questioni urbanistiche coinvolgono molte persone e le decisioni saranno determinanti per molti anni, quindi i percorsi decisionali devono ovviamente seguire gli iter che le norme prevedono. Al tempo stesso, è necessario dare un’accelerata al riuso e alla riqualificazione degli immobili inutilizzati di proprietà pubblica, inclusi quelli delle società a partecipazione pubblica. Mantenere lo stato attuale è un’operazione in netta perdita, poiché significa generare passività senza nemmeno offrire un servizio utile alla collettività. Un corretto riutilizzo apporterebbe invece un benefit per i cittadini, generando al tempo stesso un indotto per il territorio. È importante che gli iter di valorizzazione avviati arrivino veramente in fondo, in tempi ragionevoli. 

Le aree dismesse sono davvero un’opportunità? O un problema che nessuno vuole prendere a mano?

Se penso alla vecchia fiera sulla Cristoforo Colombo, ai mercati generali sull’Ostiense o al Centro Carni, vedo enormi opportunità, ma anche obblighi morali e necessità. Soprattutto a fronte del quadro finanziario pubblico e della stagnazione economica. È vero che per troppo tempo si sono registrati modesti progressi, ma sembra esserci una accelerazione. Sicuramente oggi, anche per via della crisi, il costo del tempo che passa è più chiaro a tutti. L’attuale giunta, per esempio, ha preso in mano alcune tematiche, cercando anche di trovare un corretto equilibrio tra gli interessi degli stakeholder.

Le banche sono spesso chiamate in causa per la difficoltà di accesso ai mutui da parte delle famiglie che potrebbero rappresentare una spinta alla ripresa…

Non ritengo che il mercato dei mutui ai privati sia oggi un vincolo o un limite per le transazioni immobiliari. L’offerta è piuttosto vivace, con tassi storicamente bassi, l’erogato cresce fortemente, in particolare in UniCredit che è la prima banca della città. Noto inoltre che in alcuni sviluppi immobiliari gli appartamenti vengono venduti senza problemi, ma che in altri la domanda latita o è assente. Mi permetterei di suggerire al settore una riflessione più profonda sulla tipologia di immobile che si costruisce e che si propone alla vendita, perché dove c’è domanda non credo l’accesso ai finanziamenti per i privati sia un problema, né lo sarà in futuro.

E per quel che riguarda i finanziamenti allo sviluppo di real estate?

Le banche ci sono, sono attive e si interessano di sviluppo e riqualificazione urbana. La crisi ci ha tuttavia insegnato che il capitale proprio è imprescindibile in tutti i settori industriali. Del resto, lo è anche per la banca stessa (basti vedere quanto le banche si sono dovute ricapitalizzare negli ultimi anni). Anche nel real estate, a volte mi pare ancora di incontrare aspettative che appartengono a tempi che a mio avviso non torneranno. Fare sviluppo immobiliare con una fondata prospettiva sul mercato di vendita e con un adeguato investimento di capitale proprio è “the new normal”, non è un transitorio sintomo della crisi.