La storia urbana di Roma e la sua archeologia sono un tema stratificato, inafferrabile e contraddittorio. La città capitolina è un polo turistico di punta, ricco di reperti unici e vestigia del passato. Ma come ci si relaziona quotidianamente, anche nell’attività
professionale, con queste testimonianze? A oggi, si può reputare efficace la gestione di questa enorme eredità culturale? A Roma non c’è soltanto l’archeologia “scoperta”, i ruderi scavati e visibili nei grandi musei all’aperto dei Fori e delle aree archeologiche centrali, il sottosuolo è interamente pervaso da segni del passato, non solo quello romano ma anche tardo antico e medievale.Quasi ovunque basta scavare per trovare qualche reperto. L’archeologia a Roma è onnipresente, non solo se parliamo di città storica ma anche nelle periferie e nell’Agro romano. In una nuova costruzione o in un ampliamento c’è sempre la possibilità che emerga qualche rudere o qualche traccia da conservare.
La convivenza con il passato, la sua gestione, i percorsi autorizzativi, i pareri, le indagini, le varianti ai progetti e le soluzioni per trasformare un problema in un elemento di qualità costringono architetti e progettisti a un lavoro logorante che fa di Roma una realtà unica al mondo. Diversamente da quanto accade in altre città, o in paesi esteri, qui antico e nuovo convivono con grande difficoltà e non vantiamo gli esempi di qualità che la ricerca architettonica contemporanea produce in città come Berlino, Madrid, Barcellona o Parigi. Al contrario, a Roma non c’è stata o quasi la ricostruzione dopo la Seconda Guerra Mondiale e il popolo italiano possiede un patrimonio di grande valore ma non è mentalmente preparato all’idea di accostarvi il nuovo o addirittura l’innovativo. La conservazione, a volte fino alla discutibile ricostruzione “identica” delle lacune, è sostenuta con energia dalle Soprintendenze e sostanzialmente condivisa dal sentire comune. Un punto di vista che presupporrebbe un grande rispetto per le preesistenze e una tendenza alla loro valorizzazione e non un paradossale disinteresse.
Fori imperiali / © PaolikPhoto / fotolia.com
Sintomatico è l’esempio della Domus Aurea, chiusa al pubblico dal 2006. Un tesoro delicatissimo a rischio di crollo, che al suo interno ospita 150 stanze e circa 30.000 metri di stucchi e decorazioni parietali. Per salvaguardare la storica reggia di Nerone, si è programmato un lungo e complesso intervento di restauro non ancora giunto a completamento. Nel frattempo, il cantiere tende a essere occupato da senza fissa dimora. Un altro reperto archeologico lasciato al suo destino, seppure con una storia diversa, è l’Ateneo di Traiano del quale si sono ritrovate importanti vestigia presso piazza Venezia durante i sondaggi archeologici per la realizzazione della linea C della metropolitana. Nel 2013, la Soprintendenza Speciale per i Beni Archeologici di Roma ha bandito un concorso per creare una copertura in vetro per schermare e proteggere le strutture antiche preservando il microclima ideale per la loro conservazione e permettere la fruizione del monumento. Si trattava di un segnale forte, mai lanciato sino a quel momento, che si pensava potesse attrarre l’attenzione di grandi progettisti su scala nazionale e internazionale, allettati dall’idea di legare il proprio nome a un sito di così grande rilevanza. Tuttavia, nonostante l’entusiastica partecipazione di tanti architetti, lo stesso bando è stato ritirato a distanza di un anno. La gara è stata sospesa non per mancanza di fondi, ma per problemi legati alla composizione della giuria, mai comunicata fino a quel momento. Sebbene non siano mancate le manifestazioni di dissenso, non è stata fornita alcuna comunicazione su quanto sia realmente accaduto. La procedura è stata bloccata e non si sa se e quando riprenderà. A oggi, comunque, dalla Soprintendenza non è giunta alcuna risposta. Nell’area del Colosseo invece i lavori di restauro e pulitura dalle croste nere accumulatesi negli anni sulle strutture lapidee stanno procedendo e le operazioni di restauro dell’anfiteatro, partite nell’ottobre 2013 grazie a sponsorizzazioni private, stanno sortendo la rimozione dei depositi da inquinamento atmosferico. Il restauro, un intervento importante non solo dal punto di vista archeologico ma anche occupazionale, consentirà alla struttura di ripresentarsi agli occhi di cittadini e turisti con i cromismi originari della tipica colorazione paglierina del travertino. Di contro, la revisione della Zona a Traffico Limitato e gli scavi per l’estensione della linea C della metropolitana stanno complicando l’assetto del contesto circostante. La zona è caotica a causa dell’intensa circolazione su due e quattro ruote e le opere di contenimento e di recinzione dei cantieri tendono a disordinare le aree di quello che sarà il più grande parco archeologico urbano del mondo. Allo scopo, il Sindaco Ignazio Marino ha stabilito la pedonalizzazione di molte zone, in particolare i Fori Imperiali e l’area archeologica centrale. Una strategia che avrebbe dovuto ridurre la congestione del traffico e l’eccessiva concentrazione di polveri sottili, salvaguardando il patrimonio archeologico e architettonico. In realtà lo stop al transito dei veicoli motorizzati lungo via dei Fori Imperiali ha comportato l’aumento del traffico nelle strade adiacenti, registrando nel contempo un sensibile calo delle vendite per i commercianti, alcuni dei quali hanno denunciato l’operato comunale definendolo “lacunoso e superficiale”.
Questa la situazione dei principali interventi sulle aree archeologiche centrali o in città storica, aree nelle quali, al momento, il rapporto con l’archeologia si risolve quasi interamente nelle pur indispensabili operazioni di restauro conservativo del patrimonio. Manca però un quadro organico di utilizzo moderno del patrimonio archeologico nella sua inetrezza, in vista di una sua fruizione più completa ed efficace, anche dal punto di vista del suo appeal turistico. Un piano che conferisca alla Capitale una prospettiva di città all’avanguardia in questo settore e in grado di consolidarne le prerogative di leader mondiale di città dell’archeologia: musei delle antichità più grandi e moderni degli esistenti, spazi dove allocare e renderefruibile l’enorme patrimonio nascosto nelle cantine e nei seminterrati dei Ministeri, razionalizzazione dei percorsi museali all’aperto nelle aree centrali. Non solo le aree centrali sono prive di un sistema di percorsi e segnali che le rendano intellegibili e di più chiara lettura ma non sono in previsione operazioni di maggiore respiro che coinvolgano l’intera archeologia romana, fino a Ostia Antica e Portus. Avete provato ad andare al Foro romano? Un’area di incredibile interesse, dalla complessa stratificazione temporale di strade, edifici e momenti storici viene presentata come un unicum continuo, che diviene immediatamente quasi illeggibile per un visitatore medio, peggio ancora per le scolaresche sedute sui fusti di colonne con l’aria persa nel vuoto, senza criteri esplicativi di uno spazio di così difficile decifrazione. Le epoche si mescolano, lo spazio perde di significato, l’interesse diminuisce.
Da questo punto di vista il rapporto della Capitale con l’archeologia fa pensare a quel detto popolare romanesco, “chi c’ha il pane non c’ha i denti”: siamo pieni di “cibo” ma, fra leggi, regolamenti, scarsi investimenti e veti incrociati non riusciamo a masticarlo. Invece la Capitale, e non soltanto nelle aree centrali, potrebbe fare dell’archeologia una delle sue fonti di reddito più importanti, senza necessariamente trasformarsi in un parco di divertimenti o mercificare la propria storia, ma semplicemente rendendola più leggibile, amichevole e vicina al turista, forse sulla scorta della tradizione museale anglosassone dalla quale abbiamo ancora molto da imparare.
Centocelle / © www.giuseppemoscato.com / fotolia.com
Questo non solo per le aree centrali ma anche per quanto riguarda il grande sistema archeologico di Ostia Antica e Portus, l’area dell’antico porto di Claudio e della enorme vasca esagonale di Traiano, potenzialmente uno dei siti archeologici più importanti del mondo oggi frammentato nella fruibilità e nel quadro proprietario. La presenza dell’aeroporto Leonardo da Vinci e la prevista realizzazione del nuovo Porto di Roma a Fiumicino sono la scommessa sul rilancio del comparto Roma-mare nella sua interezza, in una strategia che ponga in continuità natura, storia archeologica e rinnovamento urbano.
Museo dell’Ara Pacis / © Andrea Jemolo
Le difficoltà tuttavia non sono poche, ne sono un indicatore le condizioni in cui versa l’area archeologica di Ostia Antica allo stato attuale. Bassa è la percentuale di turisti che dalla Capitale si dirige qui, nonostante l’unicità del suo patrimonio: le vestigia della vita quotidiana in una città romana interamente conservata, il Teatro, il Tempio di Ercole, il Castello e il Borgo di Giulio II, fino alla Necropoli di Porto sull’Isola Sacra. Al di là del contesto urbano trascurato - il percorso dalla stazione di Ostia Antica al sito archeologico non è mai stato pensato come sistema organico alla visita della città - poche o nulle sono le opere che agevolano la lettura e la comprensibilità del contesto archeologico, non vi è alcuna indicazione che aiuti a decifrare meglio e godere di un sito così importante, una delle poche città romane al mondo così ben conservate. Fra l’altro le guide turistiche sono assenti e le audioguide, seppur segnalate all’interno del sito, non sono funzionanti poiché - da motivazione dell’ufficio biglietteria - “sono state ritirate, data la velocità con cui si scaricavano le pile”.
Fori Imperiali / © Andrea Jemolo
Ma arriva qualche segnale positivo: la Soprintendenza Capitolina ai Beni Culturali si è dichiarata disponibile a sostenere i costi per la realizzazione di un progetto di riqualificazione dell’area del Borgo, ambito urbano di pregio che attende da anni lavori di restauro, dove i ponteggi arrugginiti sulla cinta muraria hanno un cartello che, in rosso, recita “Dramma: il provvisorio permanente”. Tale proposta di intervento, una volta elaborata, dovrà passare al vaglio delle altre due Soprintendenze per valutare congiuntamente la qualità e l’efficacia delle misure da adottare e le risorse finanziarie da impiegare. I tempi si allungano…
Mario Lolli Ghetti:
Le nuove sfide della tutela del paesaggio
Architetto, già Direttore Generale per il Patrimonio, le Belle Arti, l'Architettura e l'Arte contemporanea
È stato Soprintendente per i beni architettonici e per il paesaggio, prima come vicario a Roma e poi a Firenze, Direttore Regionale in tre regioni italiane (Marche, Umbria e Toscana), e Direttore Generale centrale per il Paesaggio, le Belle Arti, l’Arte e l’Architettura contemporanee al termine della sua carriera. Dal suo osservatorio privilegiato Mario Lolli Ghetti racconta come tutelare il paesaggio e il patrimonio archeologico di Roma. A partire dal nuovo ruolo delle Sovrintendenze architettonica e dei Beni Culturali auspicato dal Ministro Dario Franceschini. “Fatto più in nome della spending review che della tutela del patrimonio” osserva Lolli Ghetti.
Come vede il nuovo ruolo delle sovrintendenze architettonica e dei beni culturali che il Ministro Franceschini vorrebbe riunificate nella nuova Soprintendenza belle arti e paesaggio? Che cosa cambia?
La riforma voluta dal Ministro Franceschini, che sostituisce quella mai varata impostata dal suo predecessore Massimo Bray, oltre a consentire un risparmio notevole di posti dirigenziali secondo le prescrizioni della spending review, è probabilmente intesa nell’ottica di fornire un più efficiente e rapido servizio alle amministrazioni pubbliche e ai cittadini.
E sarà così?
L’auspicio è evitare duplicazioni di procedimenti burocratici, nel caso in cui si operi su beni sottoposti a tutela o in situazioni di particolare interesse architettonico e storico. Peccato che, secondo la mia esperienza e soprattutto per quanto attiene alla tutela del paesaggio, sono rarissimi, si potrebbe dire quasi inesistenti, i casi in cui la salvaguardia dei beni storici artistici (come affreschi, dipinti, sculture, oggetti d’arte) confligge con le previsioni di assetti urbanistici o nuove edificazioni.
Il problema però esiste
È vero che ci sono stati casi in cui le previsioni di restauri da parte delle Soprintendenze architettoniche non consideravano la presenza d’interessi artistici o viceversa. Si cita spesso il restauro degli affreschi della cupola in una chiesa senza il preventivo intervento d’impermeabilizzazione sulla copertura, ma sono casi sporadici che riguardano la tenuta di un cantiere o la spesa pubblica, e poco influiscono sulla tutela del paesaggio o sulle previsioni urbanistiche. Per evitare il ripetersi di fatti del genere sarebbe stata sufficiente una circolare ministeriale o un più assiduo contatto tra i soprintendenti coinvolti, tra l’altro già tenuti a confrontare i rispettivi programmi di spesa, senza la necessità di arrivare alla drastica previsione di accorpamento di cui si tratta.
Quali sono i rischi concreti?
Molti operatori del settore pensano che la realizzazione di questo progetto potrebbe comportare la perdita di autonomia scientifica da parte degli storici dell’arte e di sicuro un ridimensionamento del loro ruolo, come ampiamente rilevato dalle vibranti proteste pervenute.In realtà, comportamenti e pareri differenti si possono riscontrare piuttosto tra le soprintendenze architettoniche e quelle archeologiche, che spesso operano negli stessi ambiti territoriali, ma in settori disciplinari nettamente separati.
Una conseguenza estrema è che possono essere emessi pareri discordanti, con il risultato di causare, soprattutto nei grandi cantieri di opere pubbliche, notevoli difficoltà, sempre ampiamente divulgate dagli organi d’informazione e spesso sbandierate ad arte dalle imprese esecutrici. Di conseguenza, a prima vista potrebbe sembrare che un’eventuale unificazione delle competenze di queste due soprintendenze di settore sarebbe stata più comprensibile, ma bisogna rilevare con forza che vi sono tra i due uffici sostanziali differenze scientifiche e tecniche. Molto difficilmente si potrebbe giustificare con un ipotetico snellimento la perdita e l’annacquamento in un’unica struttura di storiche competenze ed esperienze metodologiche, che poco hanno in comune tra di loro.
Lei quale soluzione propone?
Una più efficace concertazione e l’obbligo di concordare i pareri, unificando anche la fase istruttoria, evitando di indebolire, in grandi strutture di difficile gestione, le specifiche competenze architettoniche, archeologiche o storico- artistiche. Il sistema delle soprintendenze distinte per settori molto specialistici ha per più di un secolo contraddistinto il modo di fare tutela in Italia, e all’estero è sempre stato considerato un elemento molto positivo ed efficace, più di quanto non abbiano spesso compreso i nostri governanti o gli organi d’informazione. A mio parere, dall’unificazione prevista con la riforma si otterrà principalmente la riduzione del numero dei dirigenti, ma appare ipotetico un qualche beneficio per la tutela del paesaggio.
Passando all’attualità. Cosa pensa dei tanti progetti di pedonalizzazione del centro storico?
Se ne discute molto, d’altronde il centro storico di Roma è il più grande d’Italia, forse del mondo, e anche il meglio conservato, con alterni pareri oscillanti tra il catastrofismo dei commercianti e l’entusiastica adesione degli ambientalisti. È necessario premettere che dal punto di vista della conservazione del patrimonio architettonico, archeologico e artistico, è auspicabile (e forse obbligatoria) una riduzione decisa, se non la totale eliminazione, del traffico veicolare. Vibrazioni indotte, deposito di sostanze grasse combuste, movimentazione di particellato atmosferico, emissione di anidride solforosa (la principale causa delle piogge acide che attaccano il carbonato di calcio di cui sono costituiti i marmi e le pietre dell’edilizia romana) sono solo alcune delle considerazioni che condannano l’uso degli autoveicoli, specie in un centro di enorme valore monumentale come quello di Roma.
Credo si dovrebbe agire con maggiore coraggio e incisività su questa strada, operando su settori completi perfettamente definibili e circoscrivibili, invece di procedere per piccoli passi a macchia di leopardo.
Da anni si parla anche di creare una Grande Area Archeologica
La Grande Area Archeologica Centrale, un’opportunità straordinaria con cui nessuna città al mondo può competere. Un importantissimo parco costellato di ruderi romani, chiese e monumenti, risparmiato per un incredibile miracolo o per una disattenzione della Storia, che s’insinua verso il centro cittadino dall’Appia Antica, pallido ricordo della gloriosa Regina viarum strenuamente difesa da eroici funzionari della soprintendenza archeologica, attraversando le Terme di Caracalla e la Passeggiata Archeologica.
Da una parte coinvolgendo il Circo Massimo e l’area del Velabro e del Foro Boario, con i tempi di Vesta e della Fortuna Virile, arriva fino al Tevere; dall’altra raggiunge l’Arco di Costantino e il Colosseo, e di lì, ricongiungendo il sistema dei Fori, sbocca in piazza Venezia, arricchita da recenti e importantissimi rinvenimenti. Il tutto caratterizzato, oltre che da fondamentali emergenze archeologiche e monumentali, da una presenza diffusa di vegetazione che rievoca quel paesaggio eroico che nei secoli ha fatto la gloria di Roma nell’immaginario collettivo di tutto il mondo, e che attende solo di esser valorizzato.
Cosa ne impedisce la realizzazione?
La pigrizia e la mancanza di volontà a trovare soluzioni alternative alle correnti veicolari che oggi crivellano tutta l’area in oggetto. D’altra parte Roma è la città in cui si è distrutta la cinta delle ville storiche urbane e suburbane per consentire una dissennata speculazione edilizia, e in cui per risolvere i problemi del traffico si decide di forare o abbattere tratti delle millenarie mura aureliane, forse sperando che anche le restanti parti, lasciate nell’abbandono, crollino da sole.
È solo un problema di traffico urbano?
Sì, ma tocca un tema annoso: la mobilità a Roma. Non basta infatti imporre divieti, ma anche dare soluzioni alternative praticabili ed efficaci. Affinché il centro non si riduca a esser solo sede di ministeri e uffici, ma viva anche di quotidianità, si devono tenere ben presenti le esigenze degli spostamenti giornalieri di tutti i residenti. Questo significa soprattutto un efficiente sistema di trasporto pubblico, con mezzi non inquinanti e di media taglia, per ridurre il dannosissimo effetto delle vibrazioni e dei micro traumi sulle delicate strutture architettoniche e archeologiche.
Significa anche una frequenza e una puntualità dei mezzi alla pari di quelle delle altre capitali europee, lontane anni luce dall’assembramento incivile e dalla violenza dell’attuale sistema di trasporto romano, in cui alcune linee di autobus sono state addirittura assunte a termine di paragone di un nuovo imbarbarimento. Penso a una metropolitana con stazioni modernamente attrezzate, segnaletica comprensibile, pulizia ineccepibile e adeguati controlli, tutte cose gravemente carenti nelle disastrate linee romane.
E qual è la sua opinione su forme alternative come il car sharing o il bike sharing?
La formula del car sharing, oggi tanto di moda, va verificata sulla lunga distanza. Ho dei dubbi per il bike sharing, evidentemente non alla portata, fisica o atletica, di tutti. In parallelo andrebbe controllata con ogni cura e ridotta drasticamente la possibilità di accesso al centro storico. Il personale dei troppi uffici pubblici e del ”potere” si sono impadroniti manu militari di strade, piazze e spazi un tempo riservati al pubblico, sottraendoli per vaghi motivi di sicurezza, e trasformandoli in parcheggi privati a uso del potente di turno o dell’istituzione più forte, senza mai restituirli alla cittadinanza.
Andrebbe eliminato il diffuso fenomeno dei bus turistici a due piani, orribili a vedersi, sostituendoli con piccoli mezzi elettrici per il beneficio dei cittadini. Tra l’altro la migliore forma di turismo, il mezzo più intelligente per conoscere una città, è percorrerla a piedi. Allo stesso modo andrebbe posto un fermo rigido al transito dei grandi autobus turistici e soprattutto al loro stazionamento, a motori sempre accesi con drammatici effetti inquinanti, in tutte le aree del centro.