Il progetto interseca molteplici temi, architettonici ed urbani, in relazione ad un insieme edilizio di grandi dimensioni adiacente alla Stazione Termini: il complesso è formato da un compatto nucleo originario risalente al tardo Ottocento, con successivi ampliamenti nel Novecento. Elaborazioni articolate, nel rispondere al programma d’insediamento che prevede quattro direzioni del Ministero degli Interni e la sede per la Banda della Polizia di Stato: predisporre gli spazi di lavoro, in una griglia di esigenze e gerarchie nella configurazione per ambienti ed arredi, in un intervento che esprime l’idea di un ruolo pubblico per il complesso di edifici. Si intersecano riflessioni sulla struttura del rapporto fra architettura
e città, sulla coniugazione di differenti strategie d’intervento, nel rendere compresenti architetture storiche e contemporanee, nell’identificare luoghi dove esercitare innovazione, luoghi dove intrecciare operazioni di recupero ed ampliamento, luoghi dove modificare un assetto preesistente. Centrale è la riflessione sull’identità dell’edificio pubblico, in cui assetto volumetrico e spazi si riferiscono alla coesione di monumentalità e funzionalità, determinando una coerenza di fondo. Modificare attraverso valutazioni circostanziate, funzionali e qualitative. Il corpo degli edifici tardo ottocenteschi costituisce un’imponente C a formare una grande corte interna e rappresenta una notevole mole, dal ritmo regolare e ripetitivo, quasi seriale: un assetto storico d’architettura “formale” e rappresentativa la cui conservazione sostanziale ammette la sopraelevazione di un piano, per collocare uffici e personale e per inserire un elemento di variazione, nel linguaggio e nei materiali, sovrapposto alla serialità dei prospetti. La relazione recupero/contemporaneità si esplicita, negli stessi corpi d’origine ottocentesca, attraverso una riflessione sulla dilatazione del concetto di spazio pubblico dall’esterno verso l’interno dell’architettura. Si estrinseca la necessità di elaborare emergenze per configurare una monumentalità “altra” nello spazio pubblico interno: introdurre sistemi distributivi verticali per scardinare la serialità degli spazi interni e fornire “eccezioni”, di gusto quasi barocco nel registrare sorprendenti e differenziate logiche costruttive. Le scale si articolano in rampe curve e rettilinee, formando “vani verticali” a tutt’altezza ed aperti, che si inseriscono con forza iconica nella tessitura regolare degli spazi iterati originari. L’uniformità del colore bianco attribuito a pareti e soffitti nel recupero architettonico è il sottofondo su cui emergono questi spazi di distribuzione verticale - e orizzontale -, elementi di incontro delle persone, non solo di circolazione. La demolizione del volume che racchiudeva la corte permette di inserire un’architettura contemporanea sommessamente espressiva, in tessiture coese di pieni e vuoti: la nuova architettura ospita funzioni non compatibili con i corpi storici dell’ex Caserma se non attraverso consistenti interventi, la zona mensa e la sede per la Banda della Polizia, con la sala auditorium. All’interno dell’edificio, lo spazio pubblico, o collettivo, si connota attraverso elementi architettonici di rilievo: l’accentuazione delle scale, come percorso avviluppato e scultoreo, la coloritura vivace alle porzioni di parete, la configurazione del “tronco di cono” architettonico per la sala auditorium. Il cono domina lo spazio interno, componendo un volume essenziale ed espressivo, in una forte consistenza materica, che qualifica e caratterizza l’edificio.
Immagini di Ernesta Caviola, fornite da 5+1AA