Al contrario di tanti suoi colleghi non ha mai nascosto il suo sostegno alla riforma voluta dal Ministro Franceschini sulla tutela del patrimonio culturale, una scelta di campo che dopo 20 mesi dall’entrata in vigore continua a difendere. Alla guida della Soprintendenza Archeologica di Roma, una delle più importanti e ricche del Paese, con monumenti come Colosseo, Palatino, Foro, Domus Aurea e molto altro l’architetto Francesco Prosperetti spiega perché. Con esempi concreti di ciò che la riforma ha reso possibile e soprattutto di cosa si potrà fare in futuro. A partire dal ruolo dei privati.
Soprintendente Prosperetti, il suo incarico è iniziato a marzo dello scorso anno. È possibile fare un primo bilancio del suo mandato?
«Ho iniziato da un anno e mezzo e sono quindi a metà del mio mandato. Credo di essere riuscito a comunicare almeno quali ritengo essere le priorità. E cioè un programma di massima integrazione dell’area centrale con il resto della città e l’implementazione al suo interno di una serie di nuovi servizi».
Quante delle proposte del programma siete già riusciti a mettere in campo?
«Si tratta di un programma che abbiamo già avviato con l’apertura del nuovo ingresso ai Fori dal lato Campidoglio e la nuova uscita su San Teodoro, con l’installazione dei distributori automatici di cibi e bevande al Foro e Palatino e con l’apertura di nuovi siti da visitare quali il Tempio di Romolo, la Rampa Imperiale e Santa Maria Antiqua, tutti chiusi da decenni. Inoltre stiamo lavorando all’apertura di un nuovo museo dedicato al Foro Romano, in aggiunta a quello inaugurato due anni fa sul Palatino. Infine nuovi bookshop, caffetterie e ristoranti».
Quali reputa siano invece gli interventi più necessari?
«L’obiettivo primario è al momento quello di stringere una collaborazione più efficace con il Comune di Roma, mirata ad avere certezze sul contenimento del traffico e del commercio ambulante tutt’intorno all’area centrale. Il mio maggior desiderio è avere finalmente la metropolitana fino a Piazza Venezia, condizione essenziale per mettere mano, in maniera permanente, al problema di un diverso assetto di Via dei Fori Imperiali».
A questo proposito pensa sia ancora possibile realizzare quello che comunemente viene indicato come il “sogno di Cederna” che prevedeva appunto l’eliminazione della Via dei Fori imperiali voluta da Mussolini che tanti ancora oggi auspicano?
«Mi pare, con tutto il rispetto, una semplificazione un po’ brutale. Cederna e La Regina insieme ad altri auspicavano un piano per Roma molto più articolato: un ripensamento non solo archeologico ma anche urbanistico e complessivo del centro storico e della città in cui si inseriva tra l’altro l’eliminazione di via dei Fori Imperiali e il ricongiungimento delle aree archeologiche che questa strada divide anche con l’asse Terme di Caracalla-Appia Antica. Di quei progetti si è fatto poco, e forse è un segno dei tempi, ma oggi un piano di quella portata non sembra interessare più a nessuno. Quindi per quanto riguarda Via dei Fori Imperiali, l’arrivo della metropolitana a Piazza Venezia è la condizione minima per poter agire seriamente in quell’area».
A che punto sono invece i lavori della Metro C dopo il ritrovamento della caserma di Amba Aradam?
«Gli scavi di archeologia preventiva procedono negli altri cantieri aperti della metropolitana senza particolari ritardi. La caserma romana della stazione Amba Aradam è invece una incredibile occasione e un severo banco di prova per tutti, Consorzio Metro C, Comune di Roma e Soprintendenza: abbiamo l’occasione di creare una bellissima stazione metro come sta accadendo a Napoli per Piazza Municipio, integrandola con i ritrovamenti archeologici. Sapremo coglierla? Poiché è molto probabile che anche nelle stazioni del centro di Roma si riproporranno situazioni analoghe, questa è la prova generale».
E per quanto riguarda il Colosseo?
«Il Colosseo è ormai il luogo più visitato di Roma e merita una cornice urbana più decorosa. Abbiamo avviato una collaborazione con l’Università Roma Tre e il Comune di Roma per condividere un masterplan per la piazza e, contemporaneamente, stiamo portando avanti il progetto per la nuova arena: oggi il consolidamento degli ipogei e domani il concorso internazionale».
Una delle critiche che vengono mosse relativa al Colosseo riguarda l’Arena. Molti ritengono che si spenderà una cifra enorme, 18 milioni di euro, per dotare di un palcoscenico uno dei monumenti più visitati di Roma che per sua natura non potrà mai ospitare eventi con un numero tale di spettatori da giustificare l’investimento. Cosa ne pensa?
«Quello dell’Arena è un progetto di valorizzazione dedicato a uno dei siti archeologici più visitati del mondo: non mi pare una stranezza cercare di migliorarlo e offrire delle novità, capaci di renderlo più comprensibile e di invogliare le persone a tornarci. L’idea di ospitare degli spettacoli fuori dall’orario di visita del Colosseo è stata pensata per una diffusione attraverso i media: cinema, televisione o internet. Insomma per rivolgersi a un pubblico globale e non soltanto per quei pochi che avranno la possibilità di vedere sul luogo quegli spettacoli. Del resto il Colosseo è già di per sé globale, e per capirlo basta osservare le migliaia di persone che ogni giorno arrivano da ogni angolo della Terra per visitarlo».
La sua è stata una delle poche voci nel campo a favore della riforma voluta da Franceschini. Anzi, l’ha definita una rivoluzione. Ci può spiegare perché?
«Erano decenni che si attendeva l’allineamento dell’Italia al resto del mondo con la separazione dei musei dalle Soprintendenze. Adesso attendiamo di vedere come funzioneranno le Soprintendenze unificate, ma sono ottimista perché la divisione pre-esistente provocava troppo spesso una paralisi dovuta a quello che chiamo il “rimpiattino” delle competenze».
Uno dei temi caldi è il cosiddetto silenzio-assenso: con lo stato in cui versano molti uffici, non sono pochi 90 giorni per una risposta o un’autorizzazione?
«Credo che le nuove Soprintendenze unificate potranno essere molto più veloci che in passato. Prima si perdeva tempo negli atti cosiddetti “endoprocedimentali”: per esempio all’interno delle autorizzazioni paesaggistiche che venivano rilasciate da una Soprintendenza, potevano essere necessari i pareri archeologici che dipendevano da un’altra. Due entità distinte, che oggi invece sono unite in una sola».
Con la riforma, siti e musei sono stati separati. Però lei stesso ha parlato della mancanza di spazi espositivi, proponendo tra l’altro di creare un “Louvre dell’archeologia romana” alle terme di Diocleziano. Pensa sia davvero possibile?
«Non solo è possibile, ma altamente auspicabile. L’esperienza dei quattro musei separati, creati in passato dalla Soprintendenza archeologica, ovvero Crypta Balbi, Palazzo Altemps, Palazzo Massimo e Terme di Diocleziano, non ha dato i risultati sperati. Nonostante i visitatori siano aumentati, soprattutto alle Terme di Diocleziano, siamo ancora ben al di sotto degli obiettivi prefissati. Io credo che sia accaduto perché l’offerta museale non ha saputo fare “massa critica”».
Come pensa di procedere?
«Alle Terme di Diocleziano ci sono oltre 20 mila metri quadrati ancora da utilizzare e altrettanti che potrebbero essere ricavati con opportune protezioni coperte dei resti romani. Quattro ettari di nuovo museo, dove potremmo allestire uno dei più straordinari musei archeologici al mondo. E pensi che oggi teniamo gli uffici nelle stanze della Certosa progettata da Michelangelo! Spazi che meriterebbero una destinazione migliore».
Altra questione da lei spesso posta è quella del ruolo dei privati. Non solo nei restauri ma anche nella manutenzione. Quali pensa siano in questo senso le strade percorribili?
«È un campo nel quale si può fare di più. Con le grandi sponsorizzazioni ci siamo fermati al Colosseo, ma dovremmo poter fare lo stesso con la Domus Aurea o con il Palatino. Fino a oggi è stato più facile coinvolgere privati su progetti con budget più modesti, anche su monumenti importanti come il Mosè di Michelangelo».