di Valter Fabietti
Professore ordinario di progettazione urbanistica presso il Dipartimento di Architettura, Università di Chieti - Pescara
Da circa 40 anni, dopo il sisma dell’Irpinia, si è fatta strada nelle discipline urbanistiche la consapevolezza che la protezione degli insediamenti dai terremoti non si può limitare alla sola messa in sicurezza degli edifici. La prevenzione urbanistica del rischio, a differenza di quella edilizia, si traduce in politiche atte a mantenere in vita le prestazioni che, normalmente, la città fornisce ai suoi abitanti. L’approccio territoriale considera dunque la comunità urbana sottoposta a rischio “nel suo insieme” e non come somma di singoli edifici, cercando di comprendere quali siano le azioni di prevenzione che possono ragionevolmente essere intraprese, rispettando i limiti imposti dalla disponibilità di risorse economiche e umane. Ci si riferisce qui al bilancio economico dell’ente pubblico che amministra il territorio considerato e, più in generale, alla capacità di spesa di quella collettività. Similmente, un piano di prevenzione a scala nazionale è sottoposto agli stessi vincoli.
Il presupposto di tale approccio è che, date le limitate risorse di cui dispongono normalmente i comuni e gli altri enti locali, non sia possibile proteggere tutto: si tratta pertanto di un problema di scelta di priorità che la collettività deve compiere, decidendo quante risorse impiegare e come impiegarle per proteggere sé stessa.
Una politica urbanistica di prevenzione del rischio sismico (considerazione che vale per qualsiasi altro tipo di rischio naturale) richiede anzitutto una ricognizione della vulnerabilità del sistema urbano, considerando sia l’assetto urbanistico attuale sia le diverse ipotesi di sviluppo futuro. Si è molto parlato in questi giorni della necessità di riprendere a elaborare il fascicolo del fabbricato, elemento utilissimo se ben redatto; ma a questo si deve certamente accompagnare un’approfondita conoscenza del tessuto funzionale urbano, ovvero delle prestazioni (le attività e la loro caratterizzazione) che la città offre a se stessa e al suo territorio. Sul tema dell’analisi della vulnerabilità urbanistica si ricorda, tra altre, l’attività svolta dal gruppo di lavoro Inu “Vulnerabilità sismica urbana e rischi territoriali”, dalla Protezione Civile Nazionale, dal Consiglio Superiore dei Lavori Pubblici.
In termini operativi, a ben vedere, la prevenzione urbanistica, fondando su una buona conoscenza, presenta molte convergenze con la pianificazione, segnatamente con quella strategica: la protezione dell’insediamento, come avviene per la pianificazione strategica, si traduce nella definizione di uno scenario che emerge dal confronto tra le diverse possibilità d’intervento, valutate in base alle scelte consapevoli fatte dalla comunità locale. La necessità di operare una “consapevole selezione” tra molti interventi possibili deriva certamente da quanto già accennato, ovvero dall’impossibilità di eliminare completamente il rischio; ma la scelta di quali elementi proteggere dipende sostanzialmente da una strategia, dall’avere valutato in maniera comparativa, sulla base di una conoscenza profonda e dei bisogni della collettività, diverse ipotesi di intervento e dall’avere effettuato una scelta sulla base di una idea di sviluppo, una strategia appunto.
Il focus della politica di prevenzione urbanistica si riferisce dunque a un’idea di sviluppo, volta a ottimizzare le risorse usate a fini di prevenzione del rischio e che allo stesso tempo massimizzi lo sviluppo economico e sociale. La prevenzione urbanistica del rischio sismico, così definita, è certamente parte delle discipline territoriali e si colloca, in particolare, nell’ambito degli strumenti di “governo del territorio”, espressione più ampia del semplice “controllo edilizio”. Il piano urbanistico è (o almeno dovrebbe essere) il luogo di composizione delle scelte sulle trasformazioni del territorio, volta a tradursi in una “visione strategica” di governo del territorio.
Com’è possibile costruire un’idea di sviluppo che tenga conto anche delle condizioni di rischio presenti in una determinata area? Nella letteratura disciplinare sono ormai da tempo presenti modelli, parzialmente diversi tra loro, di percorsi strategici di sviluppo, e a questa letteratura si rimanda per una più ampia riflessione; quello che qui interessa è definire un rapporto, definibile “progettualmente”, tra idea di sviluppo e prevenzione del rischio sismico.
La prevenzione urbanistica, infatti, si fonda sulla necessità di mantenere attive le prestazioni che costituiscono la città, senza le quali questa collasserebbe: si tratta di definire qual è la Struttura urbana minima (Sum) ovvero la porzione minima di prestazioni di cui garantire comunque l’operatività, che deve emergere e rimanere funzionante anche dopo il terremoto. Il concetto di Sum è legato al ruolo strategico che i diversi elementi (edifici e funzioni) che compongono un sistema urbano assumono nella vita ordinaria di una città.
Se l’obiettivo finale è individuare una Sum in grado di funzionare anche dopo la calamità naturale, occorre comprendere quale sia, a un dato momento, l’insieme di elementi che la compongono. Diversi studi hanno affrontato il tema della costruzione della Sum e diversi sono i punti di vista su quest’argomento. In ogni caso, qualunque sia la definizione di Sum, essa dovrebbe comprendere tutti gli elementi che funzionano come “pilastri” dell’economia e della società urbana. Appare allora evidente che dovranno farne parte quegli elementi urbani che assumono un ruolo contemporaneamente non banale e di compresenza in più di uno dei sistemi funzionali che costituiscono l’insediamento urbano (produttivo, commerciale, di governo, di servizio, ecc.): un edificio che ospita funzioni strategiche (il palazzo di governo, un edificio con funzioni quaternarie, ecc.), ma anche un edificio che ospita contemporaneamente attività collettive (una A.S.L.), funzioni commerciali e residenziali, che è vincolato con valore storico-architettonico e che rappresenta un luogo di riconoscibilità urbana (che appartiene cioè alla mappa mentale della collettività urbana). In secondo luogo ne faranno parte gli elementi gerarchicamente più rilevanti di ogni sistema funzionale. Analoghe considerazioni si possono compiere sui sistemi di comunicazione e mobilità (reti TLC, trasporti e strade), sui sistemi di adduzione (reti idrica, gas, elettrica), sui sistemi degli spazi aperti (reti verdi, parcheggi, strade e piazze) che peraltro assumono, in alcuni casi, un ruolo rilevante anche per la sicurezza urbana post sismica (si pensi, ad esempio, ad un sistema di luoghi di raccolta, per la prima sistemazione di emergenza, alle vie di fuga, ecc.).
La Sum, parte del sistema urbano, non permane sempre uguale a stessa nel tempo, ma varia con il variare della città ed è modificata riguardo alle diverse opzioni di sviluppo individuate dalla collettività locale. Essa non è dunque definibile in modo univoco, ma si evolve di continuo in ragione delle prestazioni che la città deve offrire. La Sum assumerà configurazioni differenti rispetto allo “stato di funzionamento” (stato limite) del sistema che si assume come limite da non superare, in analogia con gli stati limite definiti per i singoli edifici dalla NTC 2008. A questo proposito si veda il lavoro svolto dal gruppo di studio istituto dal Consiglio superiore dei lavori pubblici per l’estensione agli insediamenti storici delle norme sismiche, nell’ambito del quale si sono definiti se pur in via provvisoria, diversi stati limite per tali insediamenti. In linea teorica, quindi, la Sum non si esaurisce in un disegno all’interno di uno strumento di governo del territorio ma rappresenta un modo di verifica, di monitoraggio e, al tempo stesso, una regola di valutazione delle scelte che in esso si organizzano.