AR 118 / Introduzione

Non si tratta soltanto di considerare l’intero contesto urbano, senza frammentarlo in spezzoni e interessi settoriali, ma di guardare alla città come “bene comune”. […] Si parla ormai di bene comune a proposito del paesaggio e della conoscenza, del welfare e dell’acqua, e via elencando. Per un verso, questo è un uso retorico di una formula entrata nell’uso corrente. Ma, con un significato più forte, si indica sinteticamente l’esistenza di trame costituite da un insieme di connessioni tra beni, soggetti, diritti. In questi casi sono indispensabili procedure di decisione che tengano di questa molteplicità e che, in situazioni come quelle ricordate, consentano partecipazione e considerazione effettiva di tutti gli interessi in gioco. (Stefano Rodotà, Il valore dei beni comuni, la Repubblica, 05.01.2012)

Spesso, quando ci occupiamo di un tema specifico o stiamo ragionando su un progetto in corso, ogni cosa che casualmente incontriamo nel nostro quotidiano sembra riferirsi ad esso, quasi che la realtà intorno a noi - consapevole del nostro pensare - ci venisse in aiuto rafforzando la linea di pensiero che stiamo seguendo, fornendo a suo supporto spunti e nuove prospettive. È così che, a pochi giorni dalla scomparsa di Stefano Rodotà, si conferma l’intensità dei suoi ragionamenti politico-filosofici, mentre la sua definizione di bene comune - che così ben si adatta alla descrizione degli spazi pubblici - ci offre un’idea non astratta di ciò che deve essere la città. Si tratta di pensare al tessuto connettivo della città come a un bene comune accessibile a tutti,