Sono molto commossa nel ricordare qui, oggi, Vittoria, di cui sono stata collaboratrice ed amica.
Sono anche onorata di farlo a nome di tutti i colleghi del Dipartimento di Pianificazione dell’Università Sapienza, dove, dopo i primi anni a Napoli, Vittoria ha svolto con continuità la sua attività di professore di Urbanistica.
Naturalmente parlerò anche, e soprattutto, a nome del Collegio dei Docenti della Scuola di Specializzazione in Beni Naturali e Territoriali, erede della prima Scuola di Specializzazione in Arte dei Giardini e Progettazione del Paesaggio, fondata da Vittoria con l’obiettivo di provvedere anche il nostro Ateneo di un programma formativo specializzato, post laurea, fino allora offerto solo in università straniere.
di Beatrice A. Vivio
Architetto, curatrice della mostra
La mostra su Franco Minissi si inserisce nel ciclo “Generazione ’15-’18”, che ha portato alla Casa dell’Architettura una serie di mostre e conferenze su architetti nati intorno alla Prima guerra mondiale, che si avviarono alla professione nell’Italia degli anni Quaranta, nel solco delle devastazioni del successivo conflitto mondiale. Dopo Giuseppe Perugini e Maurizio Sacripanti, sono stati esposti, appunto, i lavori di Franco Minissi, nato a Viterbo nel 1919, legato ai primi due da comuni istanze politiche e sociali, da esperienze condivise e anche da rapporti di amicizia. Ad accomunare i tre è anche una limitata conoscenza della loro produzione nel dibattito attuale sull’architettura. Per necessità di sintesi, si è scelto di esibire in mostra una selezione di disegni utili a far emergere la ricchezza grafica con cui Minissi comunicava le proprie idee progettuali e, soprattutto, la vastità delle scale dimensionali e degli oggetti su cui affrontò il dialogo fra passato e presente, anche a livello di progetti non realizzati. La produzione del suo studio (prolifico in molteplici settori: dalla museografia all’archeologia, dall’edilizia abitativa all’arredo degli interni e degli spazi urbani) è ben documentata in un fondo dell’Archivio Centrale dello Stato composto da oltre 60 faldoni di documenti e da circa 8.000 disegni, custoditi dall’attenzione vigile e paziente dell’architetto Nadia De Conciliis e costituiti in alcuni casi da composizioni su lucido realizzate con materiali che hanno ormai perso adesione e che necessitano talvolta di veri e propri interventi conservativi.