AR 114 / Inteviste

«Il vicinato? Anche in Italia ha ormai perso gran parte del suo valore. E le nuove forme di convivenza, come le social street o il co-housing, seppure molto enfatizzate dai media, non hanno ancora raggiunto una diffusione tale da potersi considerare validi sostituti delle relazioni “porta a porta” di un tempo. Questo almeno nelle grandi città».
Marzio Barbagli è uno dei maestri della sociologia italiana, professore emerito dell’Università di Bologna, membro dell’Accademia dei Lincei e della European Academy of Sociology. Alle città italiane e alle loro trasformazioni ha dedicato studi e ricerche di cui ha dato conto nel volume Dentro e fuori le mura (ed. Il Mulino, 2012) in cui ripercorre la storia dei principali nuclei urbani nostrani, focalizzandosi in particolare sulle mutazioni relative alla composizione sociale della popolazione in relazione alle scelte residenziali.

«Io vado a prendere i bambini a scuola e tu fai la spesa anche per me. Io innaffio le piante in agosto, tu pensi al mio gatto quando sono in ferie». Un tempo erano gesti di buon vicinato, oggi è il co-housing, che da qualche anno anche in Italia sta prendendo sempre più piede. Ma perché funzioni occorre creare «una cultura della condivisione». Di questo si occupa Liat Rogel, ricercatrice israeliana, che da tre anni ha dato vita a HousingLab, associazione milanese creata allo scopo di diffondere le buone pratiche nell’ambito dell’abitare sociale e collaborativo. 

«Se è stata definita emergenza abitativa ci sarà un perché». Franco Mazzetto, architetto romano, nuovo direttore generale dell’ATER del Comune di Roma, ci scherza sopra. Eppure lo sa bene che il compito cui è stato chiamato da gennaio 2016, quello di guidare l’agenzia, è una delle sfide impossibili della Capitale. E che non c’è niente da scherzare.  «Sono 7-9.000 i nuclei familiari già presenti nelle graduatorie in attesa di una casa; a questa già ingente cifra se ne aggiungono almeno altri 1.200 che necessitano di assistenza abitativa, ovvero quello che comunemente si chiama il buono-casa» chiarisce subito. Numeri importanti che in realtà rappresentano solo la punta dell’iceberg. Le graduatorie, infatti, per loro stessa natura tengono conto solo dei nuclei familiari ai quali va aggiunto un esercito di single, separati, stranieri, studenti.