Appia antica: una questione non risolta

di Rita Paris

Direttore archeologo nella Soprintendenza Speciale per il Colosseo, il Museo Nazionale Romano e l’area archeologica di Roma

«Tra i grandi protagonisti della Roma moderna c’è sempre stata la Via Appia Antica»
Italo Insolera, Roma moderna (nuova versione ampliata con la collaborazione di Paolo Berdini, 2011)

L’idea di un grande Parco Archeologico dal Campidoglio, attraverso i Fori e il Palatino, fino alla via Appia, la più insigne delle vie pubbliche romane, era già nel sogno di Napoleone per Roma, all’inizio dell’Ottocento. L’Appia, infatti, conservava ancora numerosi monumenti, fonte di ispirazione per uomini di cultura dal Rinascimento in poi, miniera ricchissima per gli scavi archeologici. Ma la storia per un parco archeologico inizia nel 1887 con la legge del 14 luglio 1887 n. 4730 e la “Commissione Reale”, promossa da Ruggero Bonghi e Guido Baccelli, presieduta da Giuseppe Fiorelli,

con un grande piano non limitato alla “indicazione archeologica”, ma di grande rilievo urbanistico per tutto l’ambito tra Piazza Venezia e l’Appia. Fallito questo grande progetto per la ricostituzione dell’unità dell’area archeologica centrale, inaugurata la Passeggiata Archeologica nel 1939, in contraddizione con le originarie previsioni della legge del 1887, tutto il primo tratto della via Appia viene sostituito dalla grande arteria stradale della Passeggiata Archeologica che interrompe la continuità con l’area archeologica centrale e delinea un diverso destino. Precedentemente, dai primi decenni dell’Ottocento, durante il Governo Pontificio, l’Appia aveva ricevuto attenzioni diventando luogo ideale per mettere in campo nuove metodologie e progetti per la conservazione in situ dei reperti archeologici dei monumenti avviata da Antonio Canova a Giuseppe Valadier. La grande opera di risistemazione è stata compiuta da Luigi Canina, Commissario alle Antichità di Roma del Governo Pontificio, tra gli anni 1850 e 1853. Oltre al restauro della strada furono acquisite alla proprietà pubblica le fasce laterali con i monumenti funerari, per una larghezza di circa 10 metri, realizzando un grande “museo all’aperto”, luogo d’attrazione dove si potevano ammirare i sepolcri restaurati e i reperti allestiti.

L’integrità del monumento, nel suo complesso, dopo alcuni decenni, iniziò ad essere pregiudicata per interessi privati e pubblici di diverso genere e il declino diventa inarrestabile fino ai nostri giorni, in una alternanza di provvedimenti normativi, occasioni mancate, regole disattese, tra i quali si impone il ruolo di Antonio Cederna accompagnato da un interesse civico particolarmente appassionato (il primo articolo di Antonio Cederna, I Gangster dell’Appia, esce l’8 settembre 1953 su Il Mondo).

Evitando di ripercorrere tutte le tappe che hanno portato alla situazione attuale, problematica come quella di un malato trascurato, ricordiamo l’atto più importante per l’Appia, almeno sulla carta: il decreto del 1965 del Ministro dei Lavori Pubblici Giacomo Mancini, introdotto al momento dell’approvazione del Piano Regolatore di Roma, che sancisce una tutela integrale e una destinazione a parco pubblico, riconoscendo la funzione urbanistica di interesse pubblico della via Appia Antica, “per interessi preminenti dello Stato” al fine di garantire all’intero comprensorio “una integrale tutela la quale soltanto può ritenersi adeguata ai suoi eccezionali valori paesistici, ambientali, archeologici, monumentali” e assicurare l’accesso e il godimento da parte del pubblico a tutto questo territorio per “l’eccezionale interesse culturale, universalmente riconosciuto al complesso archeologico dell’Appia Antica”.

Negli anni precedenti, quando la tutela archeologica non aveva ancora assunto un ruolo risoluto sull’Appia, aveva avuto il sopravvento la disponibilità delle amministrazioni pubbliche a sostenere gli estrosi interessi individuali, realizzati da architetti pronti a costruire secondo uno stile “Appia Antica”, o adattando a residenze i monumenti antichi, nella totale assenza di una concezione della tutela indirizzata alla conservazione del contesto e dell’ambiente monumentale, con il solo fine di realizzare ville fregiate della vista o dalla presenza delle antichità, lungo la regina viarum. Per mascherare le barriere di case si proposero barriere di pini. “Schermi d’alberi per una sconfitta”, è il titolo di un articolo di Bruno Zeri, scritto per la recensione sulla mostra dell’Appia Antica del 1956.

Il Piano Regolatore del 1965 e l’interesse rivolto all’Appia dalla cultura moderna avrebbero dovuto marcare una linea netta col passato, rimediando agli errori e garantendo il rispetto di uno stato di legalità, ma neppure quell’atto ha rappresentato l’occasione giusta perché, tra le norme già sancite, alle quali si sono aggiunti vincoli paesaggistici e archeologici e un parco regionale, si sono lasciati crescere un abusivismo inarrestabile e l’insediamento di attività incompatibili che traggono profitto dalla location d’eccellenza, in assenza di iniziative per la salvaguardia e la crescita del patrimonio. 

Quanto si è riusciti a realizzare negli ultimi vent’anni è stato piuttosto grazie a un impegno personale nell’ambito dell’attività svolta per la Soprintendenza Archeologica di Roma (il cui nome e assetto sono ora mutati a seguito della riforma del MIBACT). Non è stato di poco conto, soprattutto perché si è delineata una strada che mostra come l’ambito dell’Appia vada trattato come bene unitario, cuneo di storia, cultura e verde che si sviluppa, all’interno della città costruita, dall’area archeologica centrale fino ai Castelli, con i monumenti e la campagna circostante che hanno creato un paesaggio irripetibile da salvaguardare nel suo insieme.

Si citano ad esempio i restauri della strada e dei monumenti sui lati, la ricucitura della ferita del GRA, ora interrato, l’apertura dei siti come il Mausoleo di Cecilia Metella con il Castrum Caetani, la Villa dei Quintili e di quelli di nuova acquisizione, Capo di Bove, S. Maria Nova che, dopo azioni molteplici di scavi, restauri, studi, allestimenti, adeguamenti, sono oggi gestiti come un sistema pianificato e integrato ad azioni e attività per la fruizione pubblica. L’Appia si è trasformata in un laboratorio continuo di progetti, studi, interventi a carattere multidisciplinare che hanno visto impegnati archeologi, architetti, geologi, strutturisti, esperti del verde e l’applicazione di nuove tecnologie per la documentazione, la conservazione e la promozione del patrimonio, per la più ampia conoscenza e fruibilità. Tuttavia, è apparso evidente, in questi anni di attività e di risultati straordinari conseguiti, che la soluzione non si esaurisce con il recupero di testimonianze isolate che rimangono comunque “isole felici” in un contesto poco accessibile per la piena fruizione pubblica del bene d’insieme. 

L’obiettivo al quale non si deve rinunciare è infatti il recupero della dimensione vasta della regina viarum e del territorio che attraversa, aldilà delle singole evidenze monumentali, con l’asse della strada come cardine di un sistema viario primario e secondario, di insediamenti antichi di diverse epoche, residenze, villaggi, tenute agricole, centri di culto, luoghi attrezzati per la sosta del viaggio e per il commercio, oltre alla serie ininterrotta di sepolcri pagani e di cimiteri cristiani. Questo organismo territoriale, il cui carattere speciale è stato determinato dalla situazione geomorfologica, ha infatti mantenuto nei secoli invariato il proprio assetto, pur nella profonda trasformazione di funzioni e di governo del territorio stesso, passato per la fase del grande patrimonio della Chiesa, il Patrimonium Appiae, del sistema di fortificazioni con torri impostate sui monumenti pre-esistenti e delle proprietà delle famiglie nobiliari. 

In questa ottica la Soprintendenza ha utilizzato sia la normativa specifica dell’allora legge 1089/1939 per vincolare circa 1.850 ettari, sia lo strumento della tutela paesaggistica per le zone di interesse archeologico (già legge 431/85 art. 1, lettera m, con il decreto del 16.10.1998, ora Dl.vo 42 del 1994 art. 142, lettera m), per proteggere tutto il comprensorio dell’Appia (circa 3.980 ettari), includendo anche l’area di Tor Marancia che ne è parte integrante e necessaria, con il fine di preservare la situazione storico-topografica come bene culturale d’insieme e affidarla a un ruolo culturale adeguato.

Al di fuori delle testimonianze monumentali e dei siti di proprietà pubblica, invece, ci si imbatte, per lo più, nella violazione delle regole e nella assenza quasi totale di una forma di organizzazione che renda l’Appia meno irraggiungibile, che la avvicini a chi voglia, con diritto, godere semplicemente di questo bene. 

Gli spazi privati si sono conformati alla realizzazione ciascuno di un proprio progetto, i provvedimenti di dichiarazione di interesse pubblico sono quotidianamente trasgrediti, mentre l’Appia, i suoi monumenti, i suoi toponimi, hanno offerto lo spunto per assegnare un nome prestigioso alle attività produttive o ricreative di vario genere che competono, in un singolare malinteso, con i luoghi che sono titolari di quei nomi. 

L’assetto attuale dell’Appia si è costituito con trasformazioni progressive: le aree libere e inedificabili che avrebbero dovuto contribuire a mantenere in equilibrio il sistema monumenti-visuali-natura, sono state occupate da edifici abitativi, spuntati dal nulla, da capannoni industriali, da impianti sportivi, da vivai cresciuti spontaneamente, con serre moltiplicate e attrezzati con market e ristoranti, fonti di acque minerali diventate industrie che a loro volta sfruttano il valore degli spazi per organizzare eventi stridenti con la natura dei luoghi. 

Tutta la via Appia, nel suo tratto più affascinante, è fiancheggiata da cancelli, recinzioni e siepi, risultato del gusto delle singole proprietà, linee geometriche che delimitano con precisione la proprietà privata da quella pubblica. Questo monumento, col tempo, è stato mutilato per consentire la creazione di accessi alle ville, smontando le pietre dei marciapiedi antichi e i basoli della strada, adattati nei vialetti di ingresso alle residenze. La situazione si è ribaltata e la vita a cui l’Appia si deve conformare sembra essere quella che si svolge dentro i recinti piuttosto che quella sulla strada. 

Tale situazione impone una tutela attenta, resa ancora più complessa dalle leggi sui condoni che hanno innescato estenuanti procedure tra pareri e ricorsi amministrativi che allontanano ogni possibilità di far valere semplicemente lo stato di legalità. 

È evidente che solo una volontà politica e una intesa concreta tra le diverse Amministrazioni competenti possono salvare l’Appia, troppo spesso chiamata in causa per iniziative clamorose di pedonalizzazioni impossibili senza una alternativa di trasporto pubblico in grado di utilizzare i collegamenti con le stazioni di metropolitana e le strutture ferroviarie che potrebbero essere facilmente rimesse in grado di funzionare, per costituire una reale alternativa al mezzo privato.

Oltre alle tutele definite dalle norme occorre un progetto di ampia portata e condivisione, alla formazione del quale il Piano Territoriale Paesistico della Regione (PTP 15/12 Valle della Caffarella, Appia Antica e Acquedotti), già approvato, può dare un considerevole contributo, al fine dell’istituzione di un luogo organizzato con riguardo ai beni culturali presenti, nella loro complessità, e affinché questi siano messi a disposizione della collettività. Conoscenza e progetto devono guidare le scelte e i metodi delle azioni che non possono prescindere, inoltre, dalla graduale acquisizione dei tanti monumenti ancora in proprietà privata, un patrimonio nascosto, dimenticato, indisponibile per la comunità e spesso, ormai, scomodo per i proprietari stessi.

Il ruolo dell’Appia va oggi ripensato, alla luce di una realtà che non può essere ignorata né schermata, ma con la quale deve convivere proprio come elemento di discontinuità.

La recente riforma attuata in due fasi dal MIBACT ha determinato anche la creazione del Parco Archeologico dell’Appia Antica. Le competenze di questo nuovo Istituto, dotato di autonomia, riguardano alcuni siti e monumenti di proprietà dello Stato, non tutti aperti al pubblico, o che si erigono in terreni di proprietà privata (come gli acquedotti) e una tutela “mista” (archeologica, architettonica, paesaggistica e storico-artistica) nei confini corrispondenti a quelli del Parco Regionale a carattere naturalistico. Mentre la definizione dell’ambito dell’Appia come Parco Archeologico (prevista dal Codice dei Beni Culturali e del Paesaggio tra i luoghi della cultura, art. 101, lettera e, DL.vo 42/2004) rappresenta un momento importante nel riconoscimento dei caratteri preminenti di questo territorio, si riscontrano comunque numerose criticità di carattere culturale e gestionale che destano preoccupazione.

Innanzitutto il Parco Archeologico, iniziando da fuori le Mura Aureliane, separa l’Appia dal suo primo tratto che, se pur alterato in parte dalle trasformazioni urbanistiche, conserva ancora, e in particolare nel tratto denominato via di Porta San San Sebastiano, numerose testimonianze della strada antica con monumenti in proprietà pubblica e privata di eccezionale rilevanza, come il Sepolcro degli Scipioni e i Colombari di Vigna Codini. L’Appia inoltre viene divisa dall’area archeologica centrale, da cui aveva origine e con la quale si sarebbe dovuta ricostituire l’unitarietà, se pur tenendo conto della situazione attuale. Se la Passeggiata archeologica ha avuto un epilogo diverso dalle originarie previsioni, come sopra accennato, sarebbe ancora possibile la ricucitura degli ambiti del Foro/Palatino, del Celio, delle Terme di Caracalla, in particolare nell’area collinare verso le Mura Aureliane e il Bastione del Sangallo e dell’Appia Antica. L’amministrazione distinta in istituti autonomi, ai quali si deve aggiungere la competenza del Comune di Roma, non favorirà l’individuazione delle soluzione per le quali occorrerebbe, ovviamente, reperire risorse per progetti che risulteranno più difficili in un tale assetto. Dunque per l’Appia ma non solo - ancora una volta - l’approccio al problema storico, ma quantomai attuale, non parte da un programma culturale e gestionale ma da una definizione sulla carta che, peraltro, coincidendo nei confini con quella del Parco Regionale, rischia di creare due Enti, senza una soluzione per l’Appia.

Nel 2015 è stato redatto, a cura della sottoscritta per la Soprintendenza, un progetto di gestione e fruizione per l’Appia nel quale sono stati esaminati tutti gli aspetti, partendo dallo stato di fatto, e indicate le azioni da mettere in campo per definire un modello efficace di valorizzazione e fruizione, fattibile in termini di facilità di accesso all’offerta culturale del territorio (trasporti e servizi), sostenibile nel rispetto dei valori della zona e attraente per i cittadini e per un turismo internazionale. Le azioni previste sono indirizzate al miglioramento delle condizioni generali affinché si possa saldare l’identità dell’Appia che potrebbe così, a pieno titolo, aprirsi alle molteplici opportunità per la ricerca, la formazione, l’arte, con la forza della partecipazione civile quale scudo ideale per la difesa dei suoi valori. 

Per i progetti dell’Appia sono impegnati:

per la Soprintendenza: Rita Paris, Maria Grazia Filetici, 

Piero Meogrossi, Giacomo Restante, Livia Giammichele, 

Antonella Rotondi, Bartolomeo Mazzotta, Alessandro Lugari.

Tra i professionisti esterni in particolare: Benedetta Alberti, Carlo Celia, Serena Belotti, Paola Falla, Michela Iori, Maria Naccarato, Monica Cola, 

Mauro De Filippis, Riccardo Frontoni, Giuliana Galli,

Giorgio Gatta, Carmela Lalli, Valentina Santoro, Pietro Piazzolla, 

Paolo Quagliana, Claudia Tagliapietra.

Foto di Stefano Castellani,

salvo diversamente indicato,

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