La natura del movimento

il primo studio mobile di architettura e design a roma
di p.r.o.g. arch_design

Emilia Parente, Barbara Renzi, Floriana Orlandino, Gisella Giudice
* Call Tematica

«Viaggiare significa anzitutto cambiare carne»
Antoine de Saint-Exupéry

I concetti di sviluppo e crescita della città sono temi in atto e in evoluzione sin dalla modernità e oggi, nella prospettiva di un’espansione dell’urbanizzazione dei territori tale che nei prossimi 200 anni potrebbe interessare il globo intero. Noi architetti siamo chiamati a progettare non più la città moderna ma gli aggregati urbani del futuro, dove la mobilità non sarà soltanto una questione legata al trasporto e all’infrastruttura ma al complesso approccio al territorio e alla sua progettazione. 

La città è arrivata alla fine di un ciclo storico legato all’età moderna che oggi non trova più riscontro negli spazi urbani al di fuori delle nostre finestre e non soltanto in Asia ma anche nei nostri nuclei urbani di origine antica.

Le elaborazioni di transmodernità, supermodernismo o postmodernismo hanno evidenziato, già dagli ultimi anni Novanta, un’esigenza culturale di superamento della realtà di matrice industriale legata alla produzione di beni a favore di una improntata all’erogazione di servizi, all’informazione e ai nuovi media. 

Poiché «la città proietta sul suolo una società nella sua interezza, una totalità sociale […], compresa la sua cultura, le sue istituzioni, la sua etica, i suoi valori, in breve le sue sovrastrutture, compresa la sua base economica e i rapporti sociali che costituiscono la sua struttura propriamente detta» (Henri Lefebvre), oggi più che mai non è esaustivo codificare lo sviluppo urbano solo in termini territoriali quanto semmai in termini sociali e culturali. 

Se, come afferma Rem Koolhas, «l’architettura liberata dall’obbligo di costruire può divenire un modo per pensare qualsiasi cosa, una disciplina che rappresenta relazioni, proporzioni, connessioni, effetti, il diagramma di tutto», è evidente che questa sia il paradigma di un processo creativo globale e onnicomprensivo per lo sviluppo e la crescita urbana e non semplicemente uno strumento di progettazione territoriale. È evidente che oggi, non solo nell’ambito dello sviluppo ma anche della crescita dei nostri territori, è significativa più l’idea di processo che non di progetto.

Nuovi processi creativi e nuove pratiche sociali, più o meno ai margini della legalità e della consuetudine storica, hanno determinato nuove spazialità o metabolizzato quelle esistenti in un movimento continuo di energia generatrice di spazi, in uno slittamento incessante di forme e significati a volte appiccicati a vuoti senza identità, a volte aggrappati, apparentemente senza motivo, ad antichi tracciati o a edifici dismessi. 

Soprattutto in una città come Roma, il territorio chiama a percorrere gli itinerari come racconti complessi di una realtà che sedimenta non solo le sue architetture ma anche le sue vocazioni naturali; vocazioni storiche ma anche quelle che ogni giorno si costituiscono come nuove assecondando flussi migratori di persone, culture e soprattutto funzioni. Nuove funzioni nate dalla nuova realtà sociale e culturale migrano dai luoghi loro deputati e ibridano spazi sempre diversi. È la metropoli che si muove.

Roma, 8.30 del mattino, l’ApeProg percorre lentamente le strade soffocate dal traffico, l’aspetta il mercato rionale dove venderà la sua architettura.

La chiave di questo scenario contemporaneo potrà essere soltanto una figura che abbia metabolizzato il cambiamento sociale, affrontato la contrazione spazio-temporale scaturita dal diffondersi in maniera capillare dei nuovi media, esplosi ormai da 10 anni, che abbia saputo crearsi degli strumenti propri per interpretare le emozioni dei singoli e le aspirazioni collettive di una comunità. L’architetto. Con la sua creatività e il suo lavoro analitico sul territorio in una sorta di viaggio tra diversi ecosistemi e diverse culture, sarà la costante di un approccio interattivo e di ascolto del territorio e dei singoli che possa essere il motore del processo creativo. Un architetto che cerca di superare la staticità di una figura professionale non più considerata nel panorama sociale e culturale se non al livello delle archistar. Una voce che possa inserirsi nel dibattito istituzionale e in questo essere tutelata perché ritenuta di valore. L’architetto, che negli ultimi anni è stato vittima di una forte crisi di identità a causa della mancanza di riconoscibilità del suo ruolo e della sua professionalità, deve tornare a diffondere la cultura dell’architettura e del design.

Roma, piazza Vittorio, ore 11.00, il territorio si muove intorno all’ApeProg, come un’onda convoglia un nugolo di persone che ascoltano e parlano di architettura.

Cos’è allora che si muove veramente? Come in una rivoluzione copernicana si invertono i riferimenti e i fulcri attorno a cui tutto ruota. Prima di noi tanti manifesti hanno proclamato le loro rivoluzioni.

La strada è stata segnata a partire dalle prime riflessioni del Manifesto dell’architettura futurista di Sant’Elia che, già nel 1914, parla di movimento come energia generatrice interna alla città, di dinamismo che configura gli spazi urbani. Siamo nell’era industriale e ancora legati a una visione del movimento disegnato dalle lunghe traiettorie della rotaia che spartisce come una cicatrice gli ambiti territoriali.

Tra tante esperienze underground, una su tutte quella di Yona Friedman. Già nel 1956 iniziò la sua critica per un’architettura in grado di comprendere la mobilità sociale e per l’adattamento delle infrastrutture ai cambiamenti della società con un Manifesto per l’Architettura Mobile, portato al Congresso Internazionale di Architettura Moderna di Dubrovnik. 

«Era il modo per rispondere alla grande immigrazione di quegli anni. Tanta gente proveniva da paesi e culture diverse e aveva bisogno di abitare in luoghi che potessero essere cambiati a seconda delle esigenze. Questo era il principio dell’architettura mobile: considerare le pareti di casa altrettanto provvisorie quanto un oggetto d’arredo». 

La provvisorietà come natura del movimento, come sua componente temporale fondativa. Nella metropoli del XXI secolo un altro “manifesto”, quello contro il modernismo che Ben Van Berkel e Caroline Bos stendono in Move, rappresenta il movimento come «mutevole e ibrido stadio di evoluzione del nostro territorio», così come della nostra architettura e di conseguenza della nostra figura di creativi.

Ancora di più il movimento è matrice della Metapolis, contemporanea evoluzione della metropoli in agglomerati urbani, luogo di relazioni molteplici e mutevoli, protagonista del Manifesto dell’Architettura Avanzata di Actar secondo cui il progetto deve andare oltre un disegno da redigere a tavolino, ma deve essere qualcosa “da negoziare”, e che invita gli architetti “a non rimanere seduti” di fronte a queste urgenze.

Roma, cortile condominiale, ore 15.30, siamo tutti coinvolti in un gioco che rintraccia il senso di appartenenza ai luoghi che abitiamo e che non ritroviamo più nella metropoli.

Raccogliendo queste e molte altre riflessioni, è nata ApeProg, il primo studio mobile di architettura e design con base a Roma; mobile nel senso che è realizzato a bordo di un veicolo su tre ruote che può spostarsi sul territorio, in particolare su quello romano, caratterizzato da importanti specificità stratificate nei secoli che sono, ad oggi, non più una risorsa ma un ostacolo alla sostenibilità.

Il tema della mobilità noi lo abbiamo fatto nostro, non solo come esigenza civica o come espressione del mutamento del panorama urbano e sociale, ma come risposta professionale.

Cos’è uno studio mobile? Una centrale di ascolto che possa captare tendenze, esigenze, storie, vocazioni di territori e persone; un centro di produzione per la consapevolezza dello spazio che ci circonda e l’accrescimento del senso di appartenenza ai luoghi che abitiamo; un fulcro di aggregazione urbana sui temi dell’architettura e del design, della città e della casa; un laboratorio del relax creativo e dell’incontro ludico. ApeProg soprattutto vuole essere promotrice di attività nelle quali l’architettura, nel senso più libero riscontrato da Koolhaas, possa contribuire allo sviluppo urbano.

Senza manifesti, ambiamo a una piccola “rivoluzione culturale”: attraversare i luoghi, fermarci, incontrare le persone nei mercati, nelle piazze, rendere l’architettura accessibile e necessaria a tutti. Vogliamo farlo con semplicità, con meccanismi ludici e spettacolari, con linguaggi ibridi e metodologie mutuate dall’arte e dalla performance. Ma in ogni caso con la professionalità e la competenza tecnica che il nostro ruolo implica e non esclude.

Essere presenti, tra la gente, sul territorio, muoversi in maniera veloce, genera accessibilità e facilità di fruizione di un servizio condiviso e partecipato, al passo con i meccanismi di comunicazione odierni, che abbattono le barriere spazio-temporali tra le azioni, i luoghi e le persone. 

Questi i modi con cui opera l’ApeProg, muovendosi e gestendo i rapporti con i contesti che attraversa, fisicamente e virtualmente, utilizzando un dialogo diretto, la connessione e la presenza sempre attiva, vivace sui canali social. Prossimità di azioni e globalità di intenti. Comunicazione orizzontale.

L’architetto infatti deve tornare a essere un uomo comune che dialoga con la gente per costruire insieme scenari migliori in cui vivere, deve aiutare l’immaginario collettivo a riconoscere nuovi spazi e modi di abitare di cui si ha bisogno oggi, che sia un luogo pubblico, la propria casa o l’ambiente di lavoro. 

La rivoluzione urbana già ipotizzata da Henri Lefebvre a suo tempo per il superamento della città industriale può essere considerata «come opera, […] in cui gli abitanti possono emanciparsi realizzando uno spazio-tempo adeguato e appropriato».

Questo rapporto tra spazio e tempo ci dà la velocità a cui si muove lo sviluppo urbano contemporaneo, sta solo a noi decidere se governarlo o corrergli dietro.

«Il diritto alla città non si esaurisce nella libertà individuale di accedere alle risorse urbane, ma è il diritto di cambiare noi stessi cambiando la città»

David Harvey

Immagini fornite da p.r.o.g. arch_design