Classe 1948, docente, saggista, ambientalista, Paolo Berdini è il nuovo Assessore all’Urbanistica della Giunta guidata dalla Sindaca Virginia Raggi. Da sempre critico contro i palazzinari, ha spesso preso posizione contro i sindaci di sinistra, Veltroni in testa. Ora tocca a lui risolvere i nodi dell’urbanistica romana. Dalla candidatura della Capitale alle Olimpiadi allo stadio della Roma, dal piano regolatore all’abusivismo, Berdini lancia la sua sfida al risanamento della città.
Lei è autore del libro Le città fallite, in cui, semplificando molto, argomenta la necessità di evitare la realizzazione di nuove cubature nelle città. Come si concilia questa sua posizione con il nuovo ruolo di Assessore all’Urbanistica della Città di Roma?
Nel libro ho tentato di mettere in evidenza che il modello della crescita dei valori immobiliari basato sulla cancellazione delle regole urbanistiche che ha caratterizzato il mercato dal 1994 al 2007 si è concluso proprio a partire dall’anno in cui è scoppiata negli Stati Uniti la bolla dei mutui subprime. Oggi siamo tornati a valori inferiori a quelli in cui iniziò il ciclo di crescita. Questo fenomeno è stato poi accompagnato da un grande impoverimento dei sistemi pubblici urbani perché tutte le città sono state costrette a tagliare le spese per il welfare e per gli interventi di miglioramento della qualità urbana. Le città sono fallite - e Roma in particolare - perché hanno creduto che la cancellazione delle regole avrebbe generato una fase di rinascita urbana. Il fallimento è sotto gli occhi di tutti e come assessore della capitale d’Italia tenterò di tornare all’urbanistica pubblica.
A questo proposito come intende procedere in merito alle operazioni di rigenerazione urbana legate al Piano di Alienazione del Comune di Roma? Ritiene efficace la procedura del concorso utilizzata dalla Giunta precedente e da Cassa Depositi e Prestiti per la caserma Guido Reni? Andrà avanti su questa strada?
Cassa Depositi e Prestiti (CDP) è un importante soggetto economico che può favorire i processi di rigenerazione urbana. Non dobbiamo però commettere l’errore di pensare di creare una sorta di monopolio o di attività privilegiate favorite dalla legislazione. Noto a tale proposito che con numerose leggi - e da ultimo con lo Sblocca Italia - è stata fornita a CDP una particolare corsia privilegiata. Ritengo più opportuno che si ristabiliscano meccanismi di intervento maggiormente equilibrati.
Veniamo subito a uno dei temi più caldi anche della campagna elettorale della Sindaca Raggi: le Olimpiadi. Lo scorso febbraio, in un’intervista su Micromega, Lei aveva dato giudizi molto netti. In particolare ha affermato: «A Roma visto che non ci sono risorse lo scontro vero è a chi indirizzare i benefici, se alle periferie o a Montezemolo e Giovanni Malagò». Qual è la sua posizione a riguardo nella nuova veste di assessore?
Mi limitavo a osservare una contraddizione evidente. Il più grande progetto di assetto della Capitale, su cui sarebbe stato opportuno aprire una reale discussione sul futuro della città, è stato invece affidato a una valida struttura di direzione ma estranea alle reali problematiche che caratterizzano Roma. Tra queste spicca a mio giudizio la questione delle periferie “fisiche ed esistenziali” e sarebbe stato in tal senso indispensabile porla al primo posto di un’agenda condivisa con la società civile. So bene che è una strada più faticosa ma gli effetti delle politiche emergenziali lasciate in mano a manager dotati di eccessiva autonomia ha portato a fallimenti evidenti, se si pensa soltanto ai Mondiali di calcio del 1990 o ai recenti Mondiali di nuoto: la città nel suo complesso non ha avuto da quegli eventi benefici strutturali, eppure sono state spese ingenti risorse pubbliche. Anche in questo caso dobbiamo dunque ritornare al concetto di città pubblica.
Altro argomento che fa discutere è lo stadio della Roma. Come la vede?
Gli stadi delle società di calcio sono previsti dalla legislazione statale: sarà dunque mio dovere applicare quella legge. È anche mio dovere però criticare la localizzazione urbana, scelta sulla base di una indagine svolta da una società privata: in Europa le localizzazioni dei servizi che possono portare benefici alle città vengono decise dalle amministrazioni pubbliche in collaborazione con gli investitori. In questo modo, ad esempio, avremmo potuto trovare - e spero troveremo - un luogo in grado di amplificare i benefici degli investimenti previsti in infrastrutture. Nella città con la periferia più estesa e disordinata d’Europa non possiamo permetterci di creare un ulteriore brandello di periferia isolata dal resto.
Tra le sfide che l’attendono c’è quella relativa a toponimi ed ex aree abusive. Interverrà nella procedura di risanamento attuale?
Spero di concludere in tempi brevi la devastante stagione dell’abusivismo romano e degli scellerati condoni edilizi che lo hanno alimentato. Aumenterò le risorse umane per chiudere la fase ancora aperta delle sanatorie e per concludere i piani urbanistici attuativi - zone O e toponimi - ancora in corso. Sui toponimi in particolare si dovrà operare, come chiede la stessa Regione Lazio, a una più rigorosa definizione dei confini delle aree da edificare.
Veniamo al diritto alla casa. Quando è esploso il caso degli affitti troppo bassi, ha criticato il Commissario Straordinario Francesco Paolo Tronca per le sue dichiarazioni in merito. Come mai?
Ho soltanto osservato una questione largamente nota. Molte famiglie troppo frettolosamente additate al pubblico disprezzo non hanno alcuna responsabilità per la modestia degli affitti: essa ricade tutta su una pubblica amministrazione distratta o inefficace. Nei confronti di coloro che hanno condizioni reddituali capienti si dovrà ovviamente aumentare i valori locativi. Conosco nel contempo molte famiglie o persone sole che vivono con pensioni di 4-500 euro al mese e credo che sarebbe un delitto aumentare loro i canoni. Nel 1903 un uomo come Luigi Luzzatti avviò la legislazione che riconosceva il diritto ad abitazioni popolari a coloro che non hanno reddito. Oggi viviamo nella fase della cultura mercatista che sta cancellando il welfare urbano e ha dimenticato la solidarietà sociale. Dobbiamo ricostruirla se non vogliamo disarticolare ulteriormente il tessuto sociale.
In passato Lei ha criticato duramente l’attuale Piano Regolatore. A cosa si deve questo suo giudizio? il
Il Piano Regolatore di Roma ha visto la luce nel 2008, e cioè quando si era ancora nel pieno dell’effervescenza del mercato immobiliare. È insomma un piano basato sulla convinzione che l’aumento senza fine dell’offerta edilizia avrebbe portato ricchezza e qualità. Gli amministratori di quell’epoca erano certi che 80 milioni di metri cubi di previsioni edificatorie avrebbero reso la città meravigliosa. Basta girare le periferie della città per comprendere quale errore di prospettiva è stato commesso. L’altro grave limite sta nell’aver riconosciuto i cosiddetti diritti edificatori, concetto come noto estraneo alla legislazione in materia.
Uno dei problemi principali per molti romani è la mobilità, con l’ovvia influenza non solo sulla vivibilità della città ma anche sulle strategie urbanistiche. Cosa propone?
Anche in questo caso Roma vanta un record europeo: siamo la città con il più alto numero di veicoli circolanti per abitante. Un primato amaro raggiunto perché, come afferma Walter Tocci, fu sistematicamente abbandonata la coraggiosa politica di costruzione di un sistema di trasporti pubblici avviata negli anni Novanta. Dobbiamo riprendere quell’impostazione culturale perché dobbiamo accorciare le distanze tra centro e periferie e la leva più efficace è proprio quella di realizzare moderne linee tramviarie. È intollerabile, ad esempio, che la linea Roma-Ostia si distingua quotidianamente per blocchi e disservizi e viaggi a velocità premoderne. O, ancora, che la corsia centrale della via Palmiro Togliatti attenda da decenni la realizzazione di una tramvia poco costosa.
Quale sarà la parola d’ordine del suo mandato?
Roma è stata capofila nella cancellazione delle regole di governo urbano sostituendole con procedure di disinvolta attribuzione di volumetrie. L’inchiesta “Mafia capitale” ha dimostrato che attenuare le regole negli appalti e nell’erogazione dei servizi serviva per favorire imprese amiche. Anche l’urbanistica romana ha subito vere e proprie alterazioni del mercato e deve essere riportata nell’alveo delle regole. Semplici, perché le complicazioni dei percorsi procedimentali aiutano soltanto l’opacità, ma per ricostruire la città servono regole, ecco la parola d’ordine.
Che farà nei primi cento giorni?
Se potessi cavarmela con una battuta, considerando anche che nei cento giorni è compreso il mese feriale, sarei felice se riuscissi a comprendere i nodi da disincagliare per rilanciare l’economia della città!